DOCUMENTO CONGRESSUALE
Il cinema come esperienza nell’era della rivoluzione digitale
1. Una valutazione di scenario: quattro anni, un secolo
Rileggendo il documento pre-congressuale del 2014 erano già presenti, in nuce, le avvisaglie di alcuni dei cambiamenti epocali che avrebbero toccato il comparto cinematografico negli anni a venire. Ciò che non era prevedibile è stata la sorprendente velocità con cui tale trasformazione ha impattato sull’intera filiera dell’audiovisivo, che ha rivoluzionato il nostro scenario di riferimento, sia sotto il profilo tecnologico che normativo.
La legge 220 del 14 novembre 2016 merita un’analisi più approfondita e verrà esaminata in seguito nel dettaglio.
Concentriamoci quindi per ora sul primo punto. Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una vera e propria esplosione delle piattaforme web e più in generale dell’offerta di contenuti audiovisivi, spesso di eccellente qualità, da poter fruire sul divano di casa. L’elenco sarebbe sconfinato: vanno menzionati, a semplice titolo di esempio, oltre alle libraries delle TV generaliste e delle Pay Tv, con relativi pacchetti on demand, i numerosi player online, Netflix e Amazon in testa, e lo sterminato oceano del web, dal quale qualsiasi persona con nozioni informatiche elementari può pescare praticamente qualsiasi film, inclusi quelli che stanno passando (o addirittura devono ancora passare) in sala. In definitiva, ognuno può crearsi il proprio palinsesto ideale senza muoversi dal salotto di casa.
Per tacere del boom delle serie televisive, la cui proliferazione ha letteralmente rivoluzionato l’immaginario collettivo di una generazione e riscritto i modi e i tempi della narrazione per immagini. Non è un caso se stiamo assistendo ad un travaso di grandi autori (e attori) dal grande al piccolo schermo: da Martin Scorsese a Steven Soderbergh, da Jane Campion ai fratelli Coen, da Woody Allen a David Lynch.
In definitiva, verrebbe da concludere, se lo scontro sala vs salotto è incentrato sulla qualità dei contenuti, la guerra appare persa in partenza, stante l’impatto delle nuove tecnologie sulla modalità della visione condivisa in sala, spesso sostituita da un consumo solipsistico di film e serie televisive via monitor, tablet e smartphone.
Per essere ancora più prosaici, sembra inimmaginabile un futuro prossimo nel quale una persona si prepara, esce di casa, prende l’auto, affronta le eventuali intemperie, parcheggia, entra in un cinema, paga il biglietto, si siede, vede il film e dopo un paio d’ore rientra a casa facendo il percorso inverso.
E infatti non è un caso se negli ultimi anni è proseguita incessantemente la chiusura delle monosale d’essai: intere aree del paese sono “scoperte”, su altre insistono strutture che programmano solo mainstream, al di fuori dei centri urbani i vecchi cinema nei quali molti di noi si sono formati sono da tempo stati riconvertiti in attività più redditizie.
I dati diffusi negli anni scorsi da ANEC (dal 2000 al 2014 sono state chiuse 946 sale, per un totale di 1.149 schermi; nello stesso periodo sono stati aperti 195 complessi per un totale di 1.664 schermi) vanno interpretati con molta attenzione: se il saldo, in termine di schermi, è positivo (+ 515) è altrettanto chiaro che a scomparire sono state le monosale (i “complessi”, come eufemisticamente li definisce ANEC, hanno infatti un saldo negativo di – 751 unità). Per essere ancora più chiari: 751 luoghi in meno dove si proietta cinema.
Il futuro della sala deve allora giocarsi su un altro terreno, quello della modalità della fruizione, riscoprendo e valorizzando l’elemento socialità.È uno scenario che, paradossalmente, grava Ucca di qualche responsabilità in più e al contempo le prospetta ampi margini di espansione, dal momento che ogni circolo del cinema, soprattutto se situato in una sala polivalente, in una scuola, in un’area dismessa e da riqualificare, è un potenziale spazio per la proiezione di contenuti audiovisivi.
Fermiamoci a riflettere sul tema, sia alla luce dei 4 anni che ci siamo lasciati alle spalle, sia in prospettiva, dal momento che la “guerra dei contenuti” è destinata a farsi sempre più accesa già a partire dal 2019, quando sbarcherà sul web la corazzata Disney, che nel frattempo ha acquisito il catalogo Fox e potrà quindi contare su una library pressoché infinita (Pixar, Marvel, il franchise Star Wars, National Geographic, etc.)
Un mercato cinematografico in piena stagnazione da un ventennio (e in netta contrazione da un biennio) come potrà far fronte ad un’offerta online sempre più ampia, meno costosa e così straordinariamente facile da usare e comoda da fruire?
Come detto, sull’argomento Ucca non arretra di un passo, facendo leva sulla sua natura aggregativa, e propone un modello totalmente alternativo di fruizione. Non si pone cioè solo il problema del futuro della sala cinematografica, ma anche quello molto più basico di come far uscire le persone di casa.
Partendo da un presupposto: se l’attuale deregulation delle windows, cioè delle finestre di sfruttamento dell’opera sui diversi canali di distribuzione, almeno per i film non nazionali, rende di fatto disponibili i film contemporaneamente in sala e sul web, è di tutta evidenza che l’offerta theatrical deve arricchirsi di altri contenuti e suggestioni: in altre parole, deve trasformarsi in un’esperienza. È ciò che già avviene nelle nostre strutture più avanzate: incontri con autori, attori e produttori, introduzioni alla visione di esperti, testimonianze qualificate, rapporti costanti con esponenti della società civile, gruppi di interesse e di altri soggetti che compongono il tessuto socio-culturale del territorio, intrecci con Università, Terzo Settore e reti di volontariato. Senza ovviamente dimenticare che siamo un’associazione culturale e ricreativa: e quindi le proiezioni sono affiancate o precedute da sonorizzazioni, dj- set, performance e, perché no, accompagnate da un aperitivo.
Ci sono inoltre segnali incoraggianti, inerenti le modalità delle proiezioni, che sembrano promettere un futuro del cinema d’essai non relegato ad un pubblico sempre più maturo. La programmazione di film in originale con sottotitoli, ad esempio, sta avendo ottimi riscontri e soprattutto genera un salutare rimescolamento del pubblico, attirando studenti universitari e, più in generale, giovani probabilmente abituati a fruire contenuti digitali sul web. Né va sottovalutata l’interazione feconda del cinema in sala con il web: le proiezioni on demand. E’ di vitale importanza raccogliere i segnali inviati dal pubblico, concedendogli la possibilità di esprimersi. Con piattaforme innovative come Movieday non è più l’esercente a far calare dall’alto le sue scelte, sono gli stessi spettatori a promuovere il film con una sorta di passaparola 2.0, compulsando altri potenziali fruitori anche (anzi, soprattutto) quando si tratta di titoli di nicchia. I risultati sono più che incoraggianti: è un modello virtuoso che comincia ad avere dimensioni importanti in tutto il nostro circuito, in particolare per chi gestisce una monosala e non può giovarsi dei benefici della multiprogrammazione. Hanno aperto la strada titoli come “Banksy does New York”, “Unlearning” o “Alla ricerca di Vivian Maier”, trascinando al cinema un pubblico giovane e completamente nuovo alla sala, attratto da temi specifici come la Sharing Economy e la Street Art: quasi l’inveramento, in ambito cinematografico, della “coda lunga” profetizzata da Chris Anderson, cioè la rivincita delle “nicchie”.
Ma il nostro modello, in prospettiva, deve andare oltre, a partire dalla stessa struttura architettonica, che non può replicare la classica morfologia della sala, ma deve essere uno spazio multifunzionale in grado di accogliere eventi culturali di diverso tipo: un luogo accogliente d’incontro, di convivialità, nel quale l’evento cinematografico è solo uno degli elementi di attrattività. L’obiettivo su cui insistere è quello di ipotizzare luoghi caratterizzati da un’identità culturale forte e immediatamente riconoscibile, da un clima informale e da una programmazione sofisticata, capaci di uscire dallo stretto target del pubblico cinematografico per allargarsi ad una platea di persone intellettualmente curiose e aperte alle novità. Ovviamente stiamo parlando di un idealtipo di riferimento che non è replicabile sic et simpliciter in ogni città italiana; tuttavia, in un periodo in cui tutte le amministrazioni locali stanno confrontandosi con l’urgenza della rigenerazione urbana e del riutilizzo di spazi dismessi, crediamo che possa rappresentare il modello di riferimento per tutti gli appassionati che non si rassegnano all’omologazione e vedono nella fruizione di un film in sala un’occasione di piacevole socializzazione e non uno svogliato rituale che si perpetua sempre più stancamente.
2. Legge sul Cinema e l’Audiovisivo: post hoc ergo propter hoc?
Ovvero: esiste un rapporto di causa/effetto tra la legge Franceschini – Giacomelli e:
a) il crollo di incassi e presenze del cinema in sala degli ultimi 2 anni?
b) i tagli e i ritardi che stanno prosciugando le già esangui risorse delle associazioni di cultura cinematografica?
Partendo dalla prima questione, è difficile dare una risposta univoca, tanti sono i fattori che vanno presi in considerazione. Certo, occorre sempre partire dai dati, che purtroppo, soprattutto nell’ultimo biennio, sono impietosi. Se il mercato, dopo l’avvento dei multiplex, è rimasto sostanzialmente stabile dalla fine del secolo scorso, proprio dopo l’emanazione della Legge Cinema ha subito una brusca contrazione.
Gli ultimi dati che abbiamo a disposizione (ottobre 2018, fonte ANEC/Cinetel), fanno segnare addirittura un calo di presenze del 20,59% rispetto allo stesso periodo del 2016: in sostanza, in 2 anni, abbiamo perso uno spettatore su 5.
Per il comparto theatrical, già stremato da una crisi strutturale, corrisponde ad un crollo degli incassi pari al 20,16%, che appare insostenibile a fronte di costi di esercizio crescenti e ad un prodotto, soprattutto domestico, che non sembra più incontrare il gusto del pubblico. Può trattarsi naturalmente di un fenomeno reversibile, ma ci si aspetterebbe una reazione forte delle associazioni di categoria e, più in generale, dell’industria. Tanto più che la sofferenza si riflette sia nei multiplex che nelle sale d’essai. E che proprio nei giorni scorsi sono state annunciate nuove chiusure di strutture “storiche” della Capitale (il “Maestoso”, prima multisala di Roma, il “Reale” su viale Trastevere e il “Royal” all’Esquilino) per il momento mascherate da presunte “ristrutturazioni”, ma probabilmente dovute ad una situazione pre-fallimentare del Gruppo Ferrero.
A fronte di risultati che dovrebbero stimolare interrogativi profondi, ANICA, come sempre, minimizza: nessuna traccia di autocritica, nell’attesa messianica che la nuova legge faccia il suo corso e l’intera industria possa godere delle sue inevitabili ricadute positive.
Per cui organizza a cascata una pletora di inutili convegni su “dove va il cinema italiano” e “come rilanciare il cinema italiano”. Con la stucchevole riproposizione dei soliti problemi, sempre gli stessi, cui nessuno ha (almeno) tentato di porre un argine.
La stagionalità: rispetto agli altri paesi in Italia durante l’intera estate non escono film importanti.
L’accesso al prodotto: gli esercenti non possono scegliere i film da programmare nelle loro sale.
Il sovraffollamento di titoli simili: si cannibalizzano a vicenda, in pochi mesi, talvolta in poche settimane, per cui nessuno di essi può realizzare la sua migliore performance al box office. L’eccessivo numero di film prodotti e distribuiti rispetto alla capacità di assorbimento del circuito.
L’invecchiamento del pubblico e il mancato ricambio generazionale.
E certo, la pirateria, poteva mancare? E Netflix, ovviamente. Come se esistessero solo in Italia; eccetto che negli altri Paesi gli incassi sono stabili o in ascesa.
I rimedi sarebbero talmente banali che non vale neppure la pena elencarli. Quella che manca è la volontà di perdere risibili rendite di posizione da parte di un comparto caratterizzato da rara litigiosità e scarsa lungimiranza. L’assenza di una vera strategia di medio periodo che dovrebbe coinvolgere tutta la filiera. Meglio l’immobilismo, guai uscire dalla propria comfort zone per applicare pratiche che funzionano perfettamente all’estero.
Di fatto, a meno di improbabili e miracolosi recuperi negli ultimi due mesi del 2018, ci aspetta un secondo, consecutivo tonfo del box office. E se l’anno scorso da più parti venne invocata come giustificazione l’assenza di un film di Checco Zalone (ma può definirsi “sana” un’industria creativa che poggia su un solo titolo forte a stagione?), nel 2018 non ci saranno alibi e sarà necessario fare i conti con un dato ineludibile: il cinema in sala nel nostro Paese ha sempre meno appeal e si avvicina al collasso.
Abbiamo già accennato alla sospetta coincidenza tra l’approvazione della nuova Legge sul Cinema e l’Audiovisivo e la difficile situazione che si è determinata proprio a partire da quel momento. Torniamo allora al 14 novembre 2016, giorno in cui l’ex-ministro Franceschini esultava: “ Grazie alla Camera dei Deputati che ha consentito un celere esame del provvedimento, il ddl cinema è legge. L’approvazione rapida e senza modifiche del testo permetterà che questa legge entri in vigore, già con i decreti attuativi, dal gennaio 2017”. Si trattava evidentemente di un classico caso di “annuncite”, malattia senile del renzismo allora imperante, che spacciava la legge come auto-applicativa; in realtà sarebbero serviti circa 15 mesi perché giungessero a compimento tutti gli atti connessi: audizioni, deleghe, decreti attuativi, decreti direttoriali, circolari, bandi.
In mancanza di disposizioni transitorie che garantissero la continuità amministrativa, il 2017 si è rivelato essere un anno di totale stasi per l’intero comparto: la stessa Direzione Generale Cinema, che non dispone di sufficiente personale per far fronte ai cambiamenti epocali di una legge di sistema, ha accumulato ritardi che si sono riverberati nell’anno in corso. Di fatto è oggi impossibile prevedere quando la normativa andrà realmente a regime e potrà esprimere appieno tutte le sue (presunte) potenzialità: gli osservatori più accorti parlano di 3-5 anni.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di Legge Cinema? E soprattutto che effetti avrà (sta già avendo, in realtà) sulla nostra associazione?
Va precisato innanzitutto che la normativa non è stata concepita per il solo segmento theatrical, ma ha l’ambizione di regolamentare l’intero universo dell’audiovisivo, mai come ora sfuggente e in piena trasformazione: quindi include la serialità televisiva, il web e finanche le opere videoludiche (i videogames, per farla breve).
Va altresì ricordato che la riforma ha sostituito un impianto legislativo confuso e frammentato, regolato da un complesso di norme alcune delle quali risalivano al lontano 1965.
Una prima bozza, primi firmatari Di Giorgi – Zavoli, è stata elaborata nel 2015 e subito archiviata: si trattava di fatto di un calco della normativa francese, per distacco la più avanzata d’Europa, che infatti continua a dare ottimi frutti: l’industria cinematografica transalpina stacca oltre il doppio dei biglietti di quella italiana e protegge con cura il prodotto domestico e il segmento theatrical (si veda, in merito, l’embargo da parte del Festival di Cannes dei prodotti Netflix).
La bozza è evidentemente apparsa troppo rivoluzionaria e la riforma è passata direttamente nelle mani del Ministro che, con l’endorsement di quattro premi Oscar quali Bertolucci, Sorrentino, Benigni e Tornatore, a gennaio 2016 poteva annunciare trionfalmente l’approvazione del ddl Cinema, poi ratificato dal Parlamento a larga maggioranza nel novembre dello stesso anno.
Fin qui la cronologia. Entrare compiutamente nel merito della riforma è impresa assai ardua: si tratta di un’ambiziosa e complessa legge-quadro che fissa alcuni punti-cardine, destinati però a sviluppare effetti fecondi o perversi a seconda dei successivi, e futuri, decreti attuativi e bandi. Ci sia perdonata perciò una drastica semplificazione dell’articolato.
La nostra impressione è che la legge soffra di un impianto conservativo e inerziale e che non affronti di petto le vere criticità del nostro sistema audiovisivo. E che soprattutto sia totalmente sbilanciata a favore del côté industriale rispetto a quello culturale del comparto cinematografico.
Una prima novità è quella della stabilizzazione dei contributo statale all’audiovisivo: almeno 400 milioni l’anno, di cui circa la metà mediante lo strumento del tax credit. Vedremo che nei fatti le cose non stanno esattamente così; in ogni caso il sostegno al cinema viene scorporato dal FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) e quindi viene esonerato dalle temute oscillazioni che anno dopo anno il Fondo rischiava di subire.
La seconda innovazione è la suddivisione tra contributi automatici e selettivi: e qui iniziano le prime criticità.
La Legge abolisce le Commissioni Ministeriali per l’attribuzione dei finanziamenti in base al cosiddetto “interesse culturale” e introduce un sistema di incentivi automatici per le opere di nazionalità italiana, la cui quantificazione avviene secondo parametri oggettivi, che tengono conto dei risultati economici, artistici e di diffusione.
Il sostegno più prettamente “culturale” viene garantito dai contributi selettivi, destinati ad opere prime e seconde, realizzate da giovani autori, ai film “difficili” realizzati con modeste risorse finanziarie e alle opere di particolare qualità artistica.
Sembrerebbe prima facie un compromesso accettabile tra cinema commerciale e di qualità, tra industria e creatività, non fosse che i contributi selettivi possono attingere soltanto al 18% del Fondo e che tale percentuale comprende inspiegabilmente anche i finanziamenti per Istituto Luce – Cinecittà, Centro Sperimentale di Cinematografia, Biennale di Venezia, Cineteca di Bologna e Museo del Cinema di Torino, per cui di fatto si riducono all’8%.
In definitiva, prendendo come riferimento il riparto 2018, si evince che, dei 400 milioni del nuovo Fondo, solo 32 sono assegnati in forma selettiva, cioè sulla base del contenuto delle domande, mentre 277 in modalità automatica (considerando il credito d’imposta una forma di automatismo).
Ora, è di tutta evidenza che uno sbilanciamento di tali proporzioni, se non interverranno correzioni, ha come effetto un enorme beneficio per le grandi produzioni (cinematografiche e, non dimentichiamo, televisive), il perdurante nanismo delle start-up, l’estrema difficoltà che nuovi player possano crescere e inserirsi nel novero dei soggetti più forti. In definitiva, a noi pare una legge fortemente orientata al sostegno delle imprese più che a quello degli autori, che non aiuta il cinema di ricerca ma supporta la qualità media della serialità televisiva, che non sostiene una salutare ricambio generazionale.
Stante il nostro giudizio fortemente critico sulla riforma, per onestà intellettuale vanno riconosciuti alcuni provvedimenti che accogliamo con piacere, come il “piano per il potenziamento delle sale” e, soprattutto, come il 3% del Fondo riservato al Piano Nazionale Cinema per la Scuola: è da tempo immemore che invocavamo un deciso intervento orientato alla promozione della didattica del linguaggio audiovisivo e all’acquisizione di strumenti e metodi di analisi che favoriscano la conoscenza della grammatica delle immagini e la consapevolezza della natura e della specificità del loro funzionamento. L’utilizzo dell’opera cinematografica quale strumento educativo trasversale non potrà che dare frutti nel medio periodo, tuttavia si tratta di una svolta che va accolta con fiducia e apprezzamento.
Legge Cinema e Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica (AANNCC)
La nuova normativa (art. 27, lettera g) riconosce le AANNCC e sostiene “l’attività di diffusione della cultura cinematografica svolta dalle associazioni nazionali di cultura cinematografica”. Non sembri un risultato scontato. Durante la stesura del testo definitivo della legge, nel corso di incontri ufficiali e informali, la Direzione Generale Cinema (DGC) non ha mai nascosto la scarsa se non nulla considerazione riposta nell’attività delle AANNCC, ritenute un retaggio del passato e, nel migliore dei casi, strutture inadeguate a supportare l’approccio “industriale” della riforma. È servita una serrata interlocuzione e un’altrettanto incalzante opera di moral suasion per giungere al riconoscimento del nostro ruolo (per quanto, abbastanza incongruamente, associato a quello delle Sale di Comunità, che svolgono un lavoro meritorio, ma certamente non sovrapponibile a quello delle Associazioni).
La convinzione che si trattasse di una ben magra soddisfazione ha cominciato a prendere forma con l’emanazione del Decreto Ministeriale del 31 luglio e ha ricevuto conferma con la pubblicazione del bando per i cinecircoli, avvenuto il 1° dicembre 2017 (con scadenza al 31 dicembre, poi prorogata due volte fino al 15 gennaio 2018).
Proviamo a semplificare: il MiBACT ha pubblicato un bando chiedendoci un preventivo per il 2017 ad anno concluso, attività già svolte, spese già sostenute o risorse già impegnate.
La delibera relativa al sostegno delle AANNCC per il 2017 è arrivata il 19 giugno 2018, con la pessima sorpresa che tutte le 9 Associazioni si sono viste decurtate le relative richieste di contributo, mediamente del 30%, rispetto al 2016.
Delle risorse stanziate dal bando per le AANNCC (960.000 euro) ne sono state misteriosamente ripartite solo 658.000. Per avere un riferimento storico degli ultimi anni, erano state 900.000 nel 2016 e 1.000.000 nel 2015.
Ucca si è vista assegnare 90.000 euro contro i 120.000 del 2016 e i 130.000 del 2015. “Assegnare” non significa “liquidare”, per cui, dopo il consuntivo 2017 presentato entro il 30 settembre 2018, siamo tuttora in attesa di incassare tali risorse.
Di fatto, l’ultimo contributo ricevuto dal MiBAC (ora senza T, visto che il Turismo è stato inspiegabilmente accorpato all’Agricoltura) è quello relativo al 2016.
Ciliegina sulla torta, a tutt’oggi non è ancora stato pubblicato il bando per il 2018, ad anno quasi concluso.
Ad altre associazioni è andata molto peggio: UICC > 40.000 euro, FEDIC > 39.000 euro, ad esempio. La convinzione che sta maturando è che la DGC, non potendo sopprimere le AANNCC in quanto previste espressamente dalla legge, le intenda quanto meno indebolire usando la leva economica.
In conclusione: durante i 4 anni dell’ultima consiliatura abbiamo ricevuto per ora solo 2 contributi ministeriali, i ritardi si stanno ulteriormente accumulando, le risorse di un importante sponsor privato che ci hanno dato un po’ di respiro sono venute meno e attualmente possiamo proseguire le nostre attività solamente grazie agli anticipi di Arci.
È uno scenario con tante incognite quello che il nuovo gruppo dirigente erediterà, ma che per onestà intellettuale non va taciuto. Tanto più in una temperie politica che, quanto meno in ambito culturale, sembra ben poco rassicurante per il futuro.
Non dimentichiamo infatti che, dall’insediamento del nuovo Esecutivo, il Ministro Bonisoli e la Sottosegretaria con delega al cinema Borgonzoni, hanno di fatto dedicato una sola mattinata all’audizione dell’intero comparto, riservando 5 minuti ad ogni associazione di categoria e che il primo provvedimento concreto prevede misure fortemente vessatorie per gli esercenti.
È quanto emerge dall’art. 59 della Legge di Bilancio 2019, “Ulteriori misure di riduzione della spesa”, con riferimento all’art.18, comma 1 della Legge Cinema, sui crediti di imposta per la programmazione di film italiani ed europei, che dispone 4 milioni di euro di riduzione del credito d’imposta per gli esercenti cinematografici dal 2020 (i quali, sia detto per inciso, vanno ad aggiungersi ai 20 milioni di euro di tagli per il Bonus Cultura riservato ai diciottenni per il 2019, ai 2,3 milioni per i musei autonomi, agli 1,25 milioni per i crediti d’imposta delle librerie e ai 375.000 euro per le case editrici).
Del resto, le prime uscite del Ministro non erano state incoraggianti: si è dichiarato un estimatore della riforma (unico appunto mosso all’articolato: “forse vanno semplificate alcune modalità di applicazione”) ed è apparso ottimista sullo stato di salute del cinema italiano (“ho trovato segnali di forza e competitività”).
Quanto meno, pochi giorni fa, ha annunciato la firma del decreto attuativo della Legge Cinema che conferma la window di 105 giorni tra l’uscita theatrical e le altre modalità di sfruttamento dei film nazionali, obbligo che finora discendeva da una semplice prassi (non sempre rispettata, soprattutto ultimamente) e non da una normativa specifica: un’attenzione non scontata per ribadire la centralità della sala cinematografica.
Quanto poi all’esordio della sottosegretaria, non è sembrato portare acqua al mulino della valorizzazione della competenza sbandierata dal Governo del Cambiamento (“l’ultimo film al cinema l’ho visto 7 mesi fa, ma non mi ricordo il titolo”).
In definitiva, al netto della totale mancanza di attenzione per la cultura già ostentata nel “Contratto di Governo” e della fluidità dell’attuale scenario politico, per il prossimo futuro sarà necessario mettere in campo tutte le capacità di vigilanza, contrasto e resilienza di cui siamo capaci.
3. Da Arci e Ucca ad Arci-Ucca
Premessa # 1: ogni circolo UCCA è prima di tutto un circolo ARCI. Per la precisione: un circolo ARCI che promuove la cultura cinematografica.
Premessa # 2: sarà presuntuoso puntualizzarlo, ma UCCA rappresenta la parte più strutturata e riconoscibile dell’attività stricto sensu culturale ARCI.
Ha un suo modus operandi, una rete di collaboratori di grande professionalità, partnership di prestigio, programmazione di qualità, persino un suo peculiare stile nella comunicazione.
Forse mai come ora UCCA può contare su di un gruppo dirigente competente e coeso, presente su tutti i territori, innervato dalla nuova linfa di innesti giovani e appassionati.
E se certo sono lontani i tempi in cui veniva considerata alla stregua di una setta esoterica di cinefili monomaniaci, fissati con film interminabili di cinematografie sconosciute, è venuto il momento di considerare l’associazione per quello che è: uno straordinario strumento per veicolare i temi che formano l’ossatura dell’azione politica e sociale di ARCI, in tutta la sua complessità ed eterogeneità.
In fondo nessun altro soggetto associativo complesso può vantare, tra i suoi tratti distintivi, un segmento dedicato alla promozione di cinema e audiovisivo al suo interno. E non solo come “struttura di servizio”, con l’offerta di film per le ricorrenze dell’8 marzo, del 25 aprile, del 1° maggio, della Giornata della Memoria o per iniziative quali No Rogo o Strati della Cultura. Cos’è in fondo la rassegna itinerante “L’Italia che non si vede” se non la valorizzazione di giovani registi che raccontano il Paese reale, i suoi problemi, il suo disagio? Che non temono di approfondire argomenti scomodi o comunque banalizzati dai media , dal razzismo dilagante all’immigrazione, dai reati a sfondo sessuale al malessere delle periferie?
Non è un caso allora che questi film vengano richiesti non sono dai cineclub UCCA, ma anche da circoli ARCI che non si occupano prioritariamente di cinema, spesso dalle stesse Case del Popolo. Ed è importante che facciano leva sulla capillarità dell’associazione per approdare in profondità, in provincia così come nei piccoli centri nei quali le sale hanno chiuso o quelle residue proiettano solo mainstream.
Un discorso analogo vale per molte delle nostre rassegne storiche, che sono dedicate alla documentazione sociale (“Un posto nel mondo”, Varese), all’ambiente e alla natura (“Di terra e di cielo”, ancora a Varese), senza dimenticare le gloriose “Giornate del Cinema del Mediterraneo” di Iglesias e le altrettanto celebrate “Immagini dal Sud del Mondo” di Viterbo. Ma il cinema di UCCA affronta anche le questioni legate al tema del lavoro in un tempo di crisi come quello contemporaneo, nel quale diritti e tutele dei lavoratori sono minacciati e rischiano di essere eliminati. È questo lo scopo del concorso “Obiettivi sul lavoro”, che seleziona e premia le 10 migliori opere e le rende disponibili per la circuitazione gratuita per tutti i circoli dell’associazione che ne facciano richiesta.
Del resto l’intera attività di UCCA ha un rilievo ed un impatto sociale. Le decine di arene estive che allestiamo nei centri storici e nei quartieri periferici offrono, oltre che un momento di crescita culturale e di intrattenimento intelligente, iniziative di prossimità che coinvolgono un pubblico trasversale, ideali per le persone anziane o con ridotta mobilità, oltreché uno svago economico per la sempre più ampia fascia di popolazione che non può permettersi le ferie estive ed è costretta a restare in città.
E ancora: come non menzionare un’esperienza che dovrebbe costituire l’orgoglio non solo di UCCA ma di tutta ARCI? Quella di FILMaP, il progetto, a cura del circolo “Arci Movie” di Napoli che da quasi 30 anni opera nel quartiere Ponticelli, cioè nel vasto territorio della periferia orientale della città, con attività culturali e sociali, orientate alla promozione della cultura cinematografica, con un occhio particolare alle giovani generazioni e alla creazione di spazi e momenti di aggregazione.
Non è questo che intende ARCI quando parla di contrasto alla dispersione scolastica e alla povertà educativa?
Ne hanno parlato molti giornali nazionali, persino il Corriere, che ha titolato così: “Primavera napoletana: la scuola per documentaristi dove i giovani fanno la fila”.
Arci Movie è un patrimonio di tutta l’associazione: perché svolge con grande professionalità un’attività di formazione (e recentemente anche di produzione di documentari invitati ai principali festival internazionali) che sono unanimemente riconosciuti nell’ambiente. Ma anche perché svolge questo lavoro nelle condizioni ambientali difficili che tutti conosciamo con una dedizione infinita che è impossibile non definire con queste antiche parole: “impegno civile”.
E ancora, con riferimento alla scuola, ci preme ricordare che l’intero circuito delle sale UCCA è impegnato nel lavoro di creazione di nuovo pubblico, dal momento che i contenuti ricercati sono sempre più relegati ad un pubblico anziano o comunque maturo. Il lavoro di alfabetizzazione e incentivazione è incentrato su di un rapporto continuativo con gli istituti scolastici, fatto di proiezioni di film di qualità, ma costantemente supportato da workshop di educazione all’immagine (in particolare vorrei valorizzare l’esperienza-pilota “Scuola al Cinema” del NuovoFilmStudio di Savona).
E restando alle sale d’essai, decimate dalla crisi del mercato, quante di esse restano attive solo per il lavoro volontario di tanti nostri militanti appassionati che non si rassegnano ad un futuro monopolizzato dai multiplex e ad un immaginario omologato?
E infine, anche la collaborazione costante con i maggiori festival italiani è profilata sui “nostri” temi e sulle “nostre” pratiche. Così, oltre al nostro apporto storico al Torino Film Festival e quello più recente a Corto Dorico e al Trieste Film Festival, ci piace ricordare che siamo parte integrante, a Torino, del Lovers Film Festival, incentrato esclusivamente su film ad orientamento e tematica LGBTQI (non vi sembra, purtroppo, un problema tornato di straordinaria attualità con l’insediamento del nuovo governo?).
E ancora: il premio UCCA al miglior documentario italiano, assegnato al Biografilm di Bologna da una nostra giuria tutta al femminile (formata da Alice Bolognesi, Letizia Lucangeli, Maria Luisa Brizio e Serena Lenzotti), il nostro modesto ma significativo contributo ai movimenti #metoo e Time’s up, sorti a difesa delle vittime di molestie sessuali e contro la violenza sulle donne?
Senza dimenticare la collaborazione con Banca Etica, che ci ha adottati come partner dei loro corsi di formazione su temi come l’integrazione europea o gli sprechi alimentari.
Ma l’esperienza recente che riteniamo più significativa e, in qualche modo, rappresentativa di una nuova modalità di progettazione integrata tra Ucca e Arci, da prendere a modello per il futuro prossimo, è stata la programmazione cinematografica ospitata dalla recente, riuscitissima, edizione di Sabir.
Il fattivo coinvolgimento di Ucca già dalla fase ideativa del progetto ha consentito di profilare i contenuti da proporre, di negoziare per tempo i titoli con le distribuzioni, di acquisirne i supporti e di invitare gli autori, quando possibile, ad accompagnare i film. Crediamo che la presenza del regista Michele Cinque alla presentazione del suo “Iuventa”, abbia arricchito il festival con il suo valore di testimonianza diretta e abbia dato il suo contributo alla piena riuscita dell’iniziativa.
Riteniamo sia questa la strada da seguire, un intreccio sempre più stretto tra le due associazioni a partire dalla fase di progettazione: Ucca come parte integrante delle politiche di ARCI. Se è vero, come crediamo, che il “nostro” cinema sia strumento di inclusione sociale, ora purtroppo minacciato da una nuova legge che foraggia film commerciali e serie televisive e penalizza la produzione indipendente e coraggiosa e chi come noi la promuove, dovremmo considerarlo patrimonio collettivo di ARCI.
Siamo certi che UCCA abbia grandi potenzialità ancora inespresse, che si stiano aprendo alla nostra associazione spazi di attività un tempo inimmaginabili e non possiamo che auspicare per il futuro un sempre maggiore impegno di ARCI per un fecondo lavoro comune.
4. Conclusioni
Forzatamente provvisorie. Ci siamo soffermati a lungo sui tanti nodi irrisolti di un comparto in vorticosa evoluzione tecnologica e su uno scenario politico che ad oggi, quanto meno in ambito culturale, sembra muoversi con improvvisazione e totale scompostezza.
Ci aspettano tempi difficili, nei quali saremo impegnati a difendere valori che ingenuamente pensavamo fossero scontati, assimilati e metabolizzati da un Paese che ha vissuto pagine amarissime di storia. La speranza è che i primi, timidi segnali di mobilitazione di questi giorni siano la scaturigine di una reazione che si estenda a strati sempre più ampi di cittadini politicamente e socialmente “dormienti”.
Dal nostro limitato osservatorio cinefilo qualche piccola spia si è accesa e qualche avvisaglia positiva comincia a cogliersi: la corsa dei nostri circoli a proiettare un film militante come “Iuventa” è un segnale significativo che non va sottovalutato.
Ma l’obiettivo di medio termine è quello di andare oltre una semplice azione resiliente di contrasto ai corposi tagli alla cultura che verosimilmente saranno imposti anche a livello amministrativo nei singoli territori. È necessario creare una vera e propria rete che coinvolga tutti i soggetti indipendenti del comparto cinematografico per una strategia comune che preservi e incrementi i luoghi privilegiati di fruizione condivisa dei contenuti. A partire dalle altre associazioni di cultura cinematografica, naturalmente, ma che si allarghi a comprendere gli Autori, i piccoli produttori e distributori che non riescono a disseminare i loro prodotti per l’opposizione di un meccanismo di noleggio gravato da annosi e irrisolti conflitti di interesse, gli esercenti che, in numero sempre maggiore, a queste logiche si stanno opponendo con testarda ostinazione, mettendo in pratica nuovi modelli di programmazione. Occorre cioè uscire dalla storica litigiosità che caratterizza il nostro comparto, tanto più in un periodo di crisi conclamata del settore.
Ucca deve ambire non solo a divenire un interlocutore credibile per l’intera filiera che con coraggio e determinazione difende e promuove il cinema d’autore più stimolante e linguisticamente sofisticato, ma anche ad ampliare il proprio circuito a tutte quelle giovani realtà che, quasi per germinazione spontanea, stanno nascendo in ogni parte del Paese e che nella nostra associazione potrebbero trovare consulenza, servizi, know-how e contenuti di qualità a costi accessibili. Un obiettivo ambizioso, che la capillarità sui territori di Ucca e Arci può riuscire a realizzare.