L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018
La strada dei Samouni
di Stefano Savona
Da quando la piccola Amal è tornata nel suo quartiere, ricorda solo un grande albero che non c’è più. Un sicomoro su cui lei e i suoi fratelli si arrampicavano. Si ricorda di quando portava il caffè a suo padre nel frutteto. Dopo è arrivata la guerra. Amal e i suoi fratelli hanno perso tutto. Sono figli della famiglia Samouni, dei contadini che abitano alla periferia della città di Gaza. È passato un anno da quando hanno sepolto i loro morti. Ora devono ricominciare a guardare al futuro, ricostruendo le loro case, il loro quartiere, la loro memoria. Sul filo dei ricordi, immagini reali e racconto animato si alternano a disegnare un ritratto di famiglia, prima, dopo e durante i tragici avvenimenti che hanno stravolto le loro vite in quel gennaio del 2009, quando, durante l’operazione ‘Piombo fuso’, vengono massacrati 29 membri della famiglia.
Il commento di Stefano Savona
«Nel gennaio 2009, durante l’operazione militare israeliana a Gaza sono riuscito a infiltrarmi nella Striscia attraverso la frontiera egiziana, per realizzare un diario filmato di quei giorni di guerra che poi è diventato il mio film Piombo Fuso. Il 20 gennaio, in seguito alla ritirata dell’esercito israeliano, ho potuto raggiungere il nord della Striscia e la città di Gaza dove sono entrato in contatto con la famiglia allargata dei Samouni, una comunità di contadini, sino ad allora sopravvissuta miracolosamente a 60 anni di conflitti e occupazioni, che si confrontava per la prima volta con una tragedia senza precedenti. Sin dall’inizio non ho avuto alcun dubbio: il mio film non si poteva ridurre al mero rendiconto del massacro, al com- pianto sulla tragedia o alla denuncia di un’ingiustizia. Le televisioni e i giornali del mondo intero in quei giorni dopo la fine della guerra stavano già offrendo al mondo in ogni più macabro dettaglio il racconto di quella tragedia, mentre i principali partiti politici di Gaza, da Hamas alla Jihad Islamica, provavano in tutti i modi ad appro- priarsi di quei lutti per la loro propaganda. Ma una volta che le televisioni sono andate via e i funerali terminati, i Samouni sono restati soli».