Kripton indaga la vita sospesa di sei ragazzi, tra i venti e i trent’anni, volontariamente ricoverati in due comunità psichiatriche della periferia romana, che combattono con disturbi della personalità e stati di alterazione. Attraverso il racconto della quotidianità dei nostri protagonisti, delle relazioni che intrecciano tra di loro e con il mondo ‘adulto’ composto da psichiatri, professionisti e dalle stesse famiglie, il film ci porta a esplorare in profondità la soggettività umana. La condizione estrema del disturbo mentale diventa la chiave per avvicinarsi all’abisso misterioso della nostra mente e, allo stesso tempo, possibile metafora del nostro tempo.
Note di regia:
Il nostro presente, ossessivamente stimolato da un’euforia performativa che gira spesso a vuoto, tenta di estromettere dalla comunicazione e spesso anche dalla ‘pensabilità’ le domande fondamentali, quelle universali dell’essere umano. Sembra paradossale ma sono proprio le domande che si pongono una gran parte dei pazienti, rimanendoci però, a differenza dei più, drammaticamente incagliati, perché troppo fragili per sostenerne il peso (…) Non è una percezione solo soggettiva, i dati parlano chiaro. Gli psicofarmaci rappresentano una delle principali componenti della spesa farmaceutica pubblica, emergono forme di disagio psichico che non erano altrettanto rilevanti nella psicopatologia del Novecento: disturbi di panico, borderline, anoressia, fenomeni di ritiro sociale che riguardano ragazzi sempre più giovani. Le risposte sul perché di questo andamento e sulle possibili cure le lasciamo ai medici, agli specialisti. Eppure l’accettazione del problema psichico dovrebbe essere un compito dell’intera collettività. D’altro canto è proprio una delle protagoniste del film a lasciarci intravedere una possibile soluzione, semplice, ma potentissima: l’importanza della vicinanza, la necessità della condivisione, la lotta all’isolamento.