Anita ha diciassette anni e vive da sola con suo padre Jacopo, che è malato di leucemia e avrebbe bisogno di un trapianto con urgenza. I tempi d’attesa per la ricerca di un donatore sono troppo lunghi rispetto al progredire della malattia, e anche se i parenti hanno più probabilità di essere compatibili, non lo sono né Anita né suo nonno Tonino – un vecchio pastore che vive sull’altopiano. Jacopo ha un solo fratello, Gaetano, che vive dall’altra parte dell’isola. I due non si parlano da anni a causa di un feroce litigio che non sembrano intenzionati a dimenticare. Con l’aiuto del nonno, ad Anita non resta che presentarsi a casa dello zio, determinata a ricucire gli strappi del passato, pur di convincerlo a fare le analisi che potrebbero salvare la vita di suo padre.
Note di regia
Sono partito con l’idea di girare un film di pseudo-finzione, raccontando le traversie quanto mai attuali di un padre e una figlia che vivono vicino a un’ipotetica base militare in Sardegna. Non è una situazione straordinaria: il territorio sardo, infatti, ospita il 60% di tutto il demanio militare italiano.
Ai margini di questi territori, secondo le stime, l’incidenza tumorale ha raggiunto picchi altissimi, imputabili all’ingente presenza di polveri radioattive, residui delle esplosioni e delle esercitazioni. Sono partito da una delle tante storie di persone che risiedono in quei territori, in cui la convivenza forzata tra civile e militare è ordinaria quotidianità.
È proprio in questa normalità che ho scelto di ambientare il racconto, cercando di realizzare un film non esplicitamente di denuncia: L’Agnello resta per me un film ambientato in un territorio e non su un territorio, con al centro un dramma famigliare che potrebbe essere raccontato in qualunque parte del mondo.