Selfie

Selfie

di Agostino Ferrente

69^ Berlinale - Panorama

Anno: 2019

Paese: Italia

Durata: 76'

Napoli, Rione Traiano. Nell’estate del 2014 un ragazzo di sedici anni, Davide, muore colpito durante un inseguimento dal carabiniere che lo ha scambiato per un latitante. Davide non aveva mai avuto alcun problema con la giustizia. Come tanti adolescenti, cresciuti in quartieri difficili, aveva lasciato la scuola e sognava di diventare calciatore. Anche Alessandro e Pietro hanno 16 anni e vivono nel Rione Traiano. Sono amici fraterni, diversissimi e complementari, abitano a pochi metri di distanza, uno di fronte all’altro. Alessandro e Pietro accettano la proposta del regista di auto-riprendersi con il suo iPhone per raccontare in presa diretta il proprio quotidiano. Aiutati dalla guida costante del regista, i due interpretano se stessi, guardandosi sempre nel display del cellulare, come fosse uno specchio, in cui rivedere la propria vita. Il
racconto in video-selfie di Alessandro e Pietro viene alternato con le immagini gelide delle telecamere di sicurezza che sorvegliano come grandi fratelli indifferenti una realtà apparentemente immutabile, con i ragazzi in motorino che sembrano potenziali bersagli in un mondo dove la criminalità non sembra una scelta ma
un destino che ti cade addosso appena nasci.

Note di regia

«Dopo L’Orchestra di Piazza Vittorio e Le cose belle, avevo giurato di non realizzare più documentari. Avevo sofferto troppo entrando nelle vite delle persone coinvolte: non so fare documentari diversamente, ho bisogno di immergermi a fondo nella realtà che voglio
raccontare, fino a diventarne parte. Non so realizzare documentari d’osservazione, raccontare in maniera  neutra. No: io sprofondo nella realtà di cui mi innamoro e non voglio più raccontarla, voglio modificarla, “ripararla”. Ma poi venni a conoscenza della storia di Davide. Se ne era parlato molto tra giornali e talk show e mi aveva colpito la facilità con cui un ragazzino colpevole solo di avere l’età sbagliata nel momento e nel posto sbagliati, per molti era diventato il colpevole e non la vittima: a poche ore dalla notizia il tritacarne del pregiudizio sociale aveva già sentenziato che si trattava di un potenziale delinquente e che quindi, in fondo, era solo “uno in meno».

Normal

Normal

di Adele Tulli

69^ Berlinale - Panorama Dokumente

Anno: 2019

Paese: Italia-Svezia

Durata: 70'

Quali sono i rituali, i desideri, i comportamenti legati al genere e alla sessualità? I gesti e i ruoli che spesso senza accorgercene condizionano le nostre identità? Normal è un viaggio tra le dinamiche di genere nell’Italia di oggi, raccontate attraverso un mosaico di scene di vita quotidiana dal forte impatto visivo,
dall’infanzia all’età adulta. Un caleidoscopio di situazioni di volta in volta curiose, tenere, grottesche, misteriose, legate dal racconto di quella che siamo soliti chiamare normalità, mostrata però da angoli e visuali spiazzanti. Con uno sguardo insieme intimo ed estraniante, il film esplora la messa in scena collettiva
dell’universo maschile e femminile, proponendo una riflessione – lucida, e provvista di  ironia sull’impatto che ha sulle nostre vite la costruzione sociale dei generi. Per cercare un
nuovo significato a quella che ogni giorno e spesso senza troppo pensiero (e cuore) definiamo normalità.

Note di regia

« Nei miei film precedenti ho lavorato su temi relativi al genere e alla sessualità sempre scegliendo protagonisti che riflettessero il punto di vista di chi si colloca ai margini delle convenzioni sociali dominanti.
In questo lavoro volevo sperimentare un cambio di prospettiva, concentrandomi proprio su ciò che viene considerato convenzionale, normativo, normale. L’idea è di creare degli accostamenti che riescano
a provocare un senso di straniamento e di sorpresa davanti allo spettacolo della “normalissima” realtà di tutti i giorni. Normal intende suscitare una riflessione sulle complesse dinamiche sociali attraverso cui costruiamo e abitiamo le nostre identità di genere.»

La scomparsa di mia madre

La scomparsa di mia madre

di Beniamino Barrese

Biografilm 2019 (Premio Ucca - L’Italia che non si vede), Sundance Film Festival 2019

Anno: 2019

Paese: Italia

Durata: 94'

Modella iconica negli anni ’60, Benedetta Barzini è stata musa di Andy Warhol, Salvador Dalì, Irving Penn e Richard Avedon. Divenuta femminista militante e madre sola di quattro figli, negli anni ’70 è scrittrice e docente acuta e controcorrente di Antropologia della Moda, in eterna lotta con un sistema che per lei significa sfruttamento del femminile. A 75 anni, stanca dei ruoli – e degli stereotipi – in cui la vita l’ha costretta, desidera lasciare tutto, per raggiungere un luogo lontano, dove scomparire. Turbato da questo progetto – radicale quanto indefinito – suo figlio Beniamino comincia a filmarla, determinato a tramandarne la memoria. Il progetto si trasforma in un’intensa battaglia per il controllo della sua immagine, uno scontro personale e politico insieme tra opposte concezioni del reale e della rappresentazione di sé, ma anche un dialogo intimo, struggente, in cui madre e figlio scrivono insieme le ipotesi di una separazione, difficile da accettare e forse impossibile da raffigurare.

Note di regia

«Beniamino e Benedetta. Ben. Il figlio e sua madre. Ho girato un film su di lei, Benedetta Barzini, mentre dice che vorrebbe svanire. Invece io la seguo e la riprendo. Ben, basta, vattene. Benedetta Barzini, la modella, la ex modella. La comunista, la femminista. Che lava i capelli quando vuole lei, non quando pare agli altri. La docente che insegna la moda mostrando l’unica Madonna che legge un libro, invece di tenere in braccio un bambino (…) Volevo riscattarla dal peso dell’immagine che la tiene prigioniera da sempre: la figlia di  Luigi, giornalista del Corriere della Sera, la sorellastra di Giangiacomo Feltrinelli, fermata per strada da Consuelo Crespi, fashion editor di Vogue, una delle ragazze della Factory di Andy Warhol, quella che disse no a Ted Kennedy. Questa è la sua storia pubblica: ero un animale addomesticato, mi ha sempre detto. Un essere sopravvissuto alla cattività scegliendo di mostrare solo la faccia che gli altri volevano vedere. Quando la guardo io, cerco l’origine della ruggine interiore che la mette in conflitto con tutto. Alla fine ci siamo incontrati esattamente in quel punto: là dove le faccio un torto feroce, costringendola davanti a una cinepresa che lei rifiuta, le rendo anche il favore di una vita.»

Il pianeta in mare

Il pianeta in mare

di Andrea Segre

76^ Mostra del Cinema di Venezia - Selezione Ufficiale

Anno: 2019

Paese: Italia

Durata: 93'

Entrare nel pianeta industriale di Marghera, cuore meccanico della Laguna di Venezia, che da cento anni non smette di pulsare: un mondo in bilico tra il suo ingombrante passato e il suo futuro incerto, dove lavorano operai di oltre 60 nazionalità diverse. Perdersi e stupirsi in luoghi mai raggiunti prima, come il ventre d’acciaio delle grandi navi in costruzione, le ombre dei bastioni abbandonati del Petrolchimico, gli altiforni e le ciminiere delle raffinerie, il nuovo mondo telematico di Vega o le centinaia di container che navi intercontinentali scaricano senza sosta ai bordi dell’immobile Laguna. Attraverso le vite di operai, manager, camionisti e della cuoca dell’ultima trattoria del Pianeta Marghera, le immagini di Andrea Segre ci aiutano a capire cosa è rimasto del grande sogno di progresso industriale del Pianeta Italia, oggi immerso, dopo le crisi e le ferite del recente passato, nel flusso globale dell’economia e delle migrazioni.

Note di regia

«Negli ultimi due anni a chiunque io abbia detto che
stavo lavorando a un film su Marghera la risposta era sempre: “Ah, perché esiste ancora Marghera?”. Le tante ferite e le tante crisi che hanno attraversato questa zona industriale, come molte
altre in Italia, hanno costruito una grande
rimozione nazionale. Crediamo che in quegli spazi non ci sia più nulla, più nessuno. Invece non è così. Un regista di cinema documentario ha un importante compito: portare le persone lì dove non possono o non vogliono entrare. Il Pianeta in mare nasce per questo.»

Dove bisogna stare

Dove bisogna stare

Dove bisogna stare

di Daniele Gaglianone

36° Torino Film Festival

Anno: 2018

Paese: Italia

Durata: 98'

Georgia, ventiseienne, faceva la segretaria. Un giorno stava andando a comprarsi le scarpe; ha trovato di fronte alla stazione della sua città, Como, un accampamento improvvisato con un centinaio di migranti: era la frontiera svizzera che si era chiusa. Ha pensato di fermarsi a dare una mano. Poi ha pensato di spendere una settimana delle sue ferie per dare una mano un po’ più sostanziosa. È ancora lì. Lorena, una psicoterapeuta in pensione a Pordenone; Elena, che lavora a Bussoleno e vive ad Oulx, fra i monti dell’alta Valsusa, e Jessica, studentessa a Cosenza, sono persone molto diverse; sono di età differenti, e vengono da mondi differenti. A tutte però è successo quello che è successo a Georgia: si sono trovate di fronte, concretamente, una situazione di marginalità, di esclusione, di caos, e non si sono voltate dall’altra parte. Sono rimaste lì, dove sentivano che bisognava stare. 

Note di regia

«Questo documentario racconta di una possibile risposta a questi tempi cupi. Non racconta l’immigrazione dal punto di vista di chi sceglie di partire o è costretto a farlo: è innanzitutto un film su di noi, sulla nostra capacità di confrontarci con il mondo e di condividerne il destino. Mentre la classe politica insegue emergenze e visibilità, c’è un’Italia che agisce quotidianamente per mettere al centro dignità e giustizia. È un’Italia plurale e spesso femminile; la raccontiamo in Dove Bisogna Stare.»

Heimat

Heimat

di Giovanni Montagnana

Anno: 2021

Paese: Italia

Durata: 20'

A metà tra il documentario e l’installazione artistica, Heimat, a partire dalla frammentazione creativa delle Ultime lettere da Stalingrado, una raccolta di lettere scritte nel dicembre 1942 da soldati tedeschi assediati nella sacca di Stalingrado, è un’indagine sensoriale ed universale di quell’oggetto così misterioso che è il ricordo di Casa: un oggetto misterioso, sfuggente, sempre sull’orlo della dissolvenza. In Heimat convivono la pasta di vecchi film di famiglia, pennellate di colore e residui chimici della pellicola in decomposizione. Una realtà che diventa onirica, quasi allucinazione. Le immagini e i suoni in Heimat esprimono tutta la loro materialità, il loro essere oggetti segnati dal tempo, consumati e rovinati. Un’esperienza cinematografica estremamente sensoriale per riflettere sul ricordo, su ciò che ci lega ai nostri affetti, su tutto ciò che chiamiamo Casa. In una parola: il nostro Heimat.

Comunisti

Comunisti

di Davide Crudetti

Anno: 2021

Paese: Italia

Durata: 20'

Il 3 febbraio del 1991 veniva sciolto per sempre il Partito Comunista Italiano. Quattro mesi dopo, nascevo io. Praticamente, mentre io nascevo, il comunismo in Italia, e nell’Occidente tutto, non esisteva già più. Durante tutta la mia crescita però, nella casa dove crescevo, rimanevano di lui dei segni inequivocabili legati al passato dei miei genitori. Del comunismo sembra non esserci più traccia, eppure sento che qualcosa di lui continua a rimanermi attaccato addosso. I miei genitori erano comunisti. E io? Io che cosa sono? 

Come scintille nel buio

Come scintille nel buio

di Daniele Gaglianone

Anno: 2022

Paese: Italia

Durata: 29'

Erika, Mario, Mauro, Alessia, Sergio, Flavia e Tommaso vivono a Carbonia, una città mineraria della Sardegna. Le loro vite che emotivamente gravitano tra la luce e il buio riflettono lo stato d’animo di una città ancora legata al passato e al contempo proiettata verso un futuro ancora incerto.

Giovani Filming Lab

Come scintille nel buio
è l’esito del corso residenziale diretto dal regista Daniele Gaglianone insieme al sociologo e regista Chicco Angius. Il corso, che si è svolto a Carbonia nell’autunno del 2022 promosso dal CSC Carbonia della Società Umanitaria su fondi cineportuali della Regione Autonoma della Sardegna, con il sostegno del Comune di Carbonia e la collaborazione dei Servizi Audiovisivi del Sistema Bibliotecario Interurbano del Sulcis, aveva come obiettivo quello di raccontare il particolarissimo contesto urbanistico, sociale e antropologico della città di Carbonia.

Carbonia città di fondazione. Carbonia che si è costruita come comunità intorno a un particolarissimo melting pot che ha visto migliaia di operai minatori arrivare da ogni parte d’Italia creando un unicum antropologico nella storia nazionale. Carbonia città esempio dell’architettura razionalista, città di servizi e poi città dello sviluppo e della crisi industriale. Giovani e anziani, pieni e vuoti, il sopra e il sotto, il dentro e il fuori. Tutte queste suggestioni hanno accompagnato e guidato il lavoro di questa giovane troupe che ha provato a dare un altro senso possibile a una storia che è stanca di essere raccontata solo nei libri di storia e di architettura contemporanea. 

La Restanza

La restanza

di Alessandra Coppola

Torino Film Festival

Anno: 2022

Paese: Italia-Belgio

Durata: 101'

Castiglione d’Otranto, Salento, Puglia. Un gruppo di trentenni si rifiuta di considerare la fuga come l’unica soluzione ai problemi economici, ecologici e politici. Decidono così di restare, di legare la propria vita al lavoro agricolo e di investire in un valore dimenticato: la condivisione. Dopo aver proposto ai possessori di terreni incolti di mettere in comune le loro proprietà, trasformano Castiglione nel paese “della restanza”, un luogo dove si coltivano semi antichi e si cura la biodiversità; dove le decisioni sono prese in comune e si sviluppa un’economia su piccola scala. Accettando le ombre del passato, i protagonisti di questa vicenda riscoprono le potenzialità inattese di una terra. Il film è la storia di questa fantastica avventura alla riscoperta di una terra.

Note di regia

“Questo film è stata la mia scuola di cinema. Quando ho incontrato i
membri della Casa delle AgriCulture e ho capito cosa stavano cercando di fare, non ci ho pensato due volte: dovevo raccontare questa esperienza: era ovvio, urgente, importante. È stato solo quando sono arrivata a Castiglione con la telecamera che mi sono resa conto che stavo facendo molte cose che non avevo mai fatto: scrivere un film, dirigerlo, girarlo. Ma ero spinta da domande che mi abitavano da tempo e a Castiglione succedeva qualcosa che poteva darmi delle risposte vivendone.”