Monopolio della violenza

Monopolio della violenza

Monopolio della violenza

di David Dufresne

Anno: 2020

Paese: Francia

Durata: 86'

Un gruppo di cittadini si confronta sull’ordine sociale e sulla legittimità dell’uso della violenza da parte dello stato. David Dufresne in questo documentario si sofferma in particolare su come il governo francese giustifichi atti brutali commessi dalle forze dell’ordine nei confronti dei cittadini.

Il film ha ottenuto 1 candidatura a Cesar, ha vinto un premio ai Lumiere Awards.

Martin Luther King VS FBI

Martin Luther King VS FBI

Martin Luther King VS FBI

di Samuel D. Pollard

Anno: 2021

Paese: Cina

Durata: 85'

Il regista Sam Pollard (già vincitore di un Emmy Award con “By the People: The Election of Barack Obama” e nominato agli Oscar per “4 Little Girls”) esplora l’accanimento del governo statunitense sugli attivisti di colore. Per diffamare Martin Luther King, l’allora direttore dei servizi segreti John Edgar Hoover, ha usato ogni mezzo a disposizione: cimici nelle stanze d’albergo, telefoni intercettati, investigatori privati, corruzione di giornalisti affinché scrivessero articoli che lo screditassero. Il docu-film fa riflettere sulla contrapposizione tra John Edgar Hoover e Martin Luther King, due potenti e iconiche figure che, nonostante le loro differenze, si sono proposte come difensori del Sogno Americano. “Martin Luther King VS FBI” pone degli interrogativi, importanti oggi come allora, in materia di etica e privacy: Cosa significa “libero”? Cosa vuol dire “Americano”? Chi lo decide?
 

Se questo è amore

Se questo è amore

Se questo è amore

di Maya Sarfaty

Anno: 2020

Paese: Israele/Austria

Durata: 82'

Helena Citron, un’ebrea deportata ad Auschwitz dal 1942, trova un’inaspettata consolazione da parte di Franz Wunsch, un ufficiale delle SS che si innamora di lei. Nonostante il rischio di essere scoperti, i due portano avanti la loro relazione fino alla fine della guerra. Trent’anni dopo, Helena riceve una lettera dalla moglie di Wunsch, che le chiede di testimoniare in favore del marito. Helena dovrà quindi affrontare una scelta molto difficile. Il docufilm diretto dalla regista israeliana Maya Sarfaty ricostruisce, attraverso interviste, filmati d’archivio e fotografia, questa tragica storia d’amore.

Now

Now

Now

di Jim Rakete

Anno: 2020

Paese: Germania

Durata: 73'

“Se fallite, non vi perdoneremo!” La generazione dei giovani ribelli del clima si appella con rabbia agli adulti e fa del 2019 l’anno della protesta. Il motivo: il nostro futuro è minacciato dal riscaldamento globale. Greta Thunberg è diventata la figura principale di un movimento mondiale che ha scosso l’opinione pubblica. La loro influenza sta crescendo rapidamente, anche i governi iniziano a prestare attenzione. Hanno i loro obiettivi ben chiari: qualunque cosa debba accadere, deve accadere adesso!

#Unfit

#Unfit

#Unfit - La psicologia di Donald Trump

di Dan Partland

Anno: 2020

Paese: USA

Durata: 83'

#Unfit è un documentario che indaga la psicologia del 45° presidente degli Stati Uniti e dell’elettorato che ha voluto affidargli il potere. Il film scruta le ansie sempre crescenti alla base della politica e le caratteristiche della natura umana che contribuiscono all’attuale aumento di popolarità degli autoritarismi nel mondo. #Unfit presenta un’illuminante analisi del comportamento, della psiche, della condizione e della stabilità del presidente Donald J. Trump. A partire da uno sguardo sociologico dell’elettorato che l’ha scelto, il film esamina le ripercussioni a livello collettivo che ha avuto sulla cultura e le istituzioni americane. Donald Trump è “adatto” all’incarico? Come possiamo dire ed essere sicuri che lo sia? Che cosa determina l’idoneità di una persona a essere Presidente? Chi decide?

Dio è Donna e si chiama Petrunya

di Andrea Contu

Presidenza nazionale UCCA

Dio è donna e si chiama Petrunya

La 37^ edizione del Torino Film Festival ha dedicato una retrospettiva alla regista macedone Teona Strugar Mitevska, che quest’anno ha presentato quello che è stato ritenuto da critica e pubblico il film rivelazione della 69^ Berlinale, God Exist, Her Name Is Petrunya, nelle sale italiane dallo scorso 12 dicembre.

Petrunya è una trentaduenne disoccupata che vive in un piccolo paese della Macedonia, laureata in Storia ma troppo formata per le esigenze piccole di un mondo immobile come i riti che da secoli porta avanti.

Un giorno, quasi per caso, o per rabbia, si intromette in una celebrazione religiosa, impossessandosi di una croce riservata alla virile gara di uomini seminudi che si buttano nel fiume ghiacciato per portare a se stessi e al villaggio i migliori auspici. Autorità religiose e civili, sotto la pressione di un gruppo di maschi alfa tanto violenti quanto ignoranti, cercheranno di convincere Petrunya a ristabilire la tradizione, ma la donna resisterà a costo della propria incolumità fisica.

Sviluppando tutte le tematiche che le sono proprie, la regista macedone realizza un film maturo, dove la storia di una giovane donna in lotta contro il sistema patriarcale e sociale diventa una vicenda universale capace di parlare a un’intera generazione.
Petrunya è emarginata perché donna, perché proletaria, perché non ha un fisico da modella né un rapporto affettivo, perché giovane e quindi da mettere sotto tutela, della polizia, dei preti, di una madre invadente che sa cosa è meglio per lei.
Petrunya è l’icona di una generazione tradita, arrabbiata e messa ai margini, ma mai doma. E sembra riecheggiare il «Cosa vogliamo? Vogliamo tutto». Anche essere Dio.
Al film è stato appena assegnato il Premio LUX 2019 del Parlamento europeo.

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=7WfM8ZgXU2Y

Il Cinema che non si vede “invade” la Campania

di Antonio Borrelli

Vicepresidente nazionale UCCA

Il Cinema che non si vede “invade” la Campania

Promozione della cultura cinematografica e circuitazione diffusa di un cinema a vocazione autoriale sono due degli obiettivi fondamentali per un’associazione nazionale come Ucca. Grazie alle possibilità offerte dalla Legge sul Cinema della Regione Campania, è stato possibile realizzare una rassegna itinerante dal titolo Il cinema che non si vede che si sta svolgendo in queste settimane nelle tre province di Avellino, Benevento e Salerno, con tante proiezioni, incontri e masterclass.

Si tratta di un progetto di rete ampio, che coinvolge numerosi partner sia interni che esterni alla rete Arci e Ucca. Nella provincia di Benevento i due centri dell’azione progettuale sono il circolo Kinetta, con il proprio spazio Labus e con eventi presso il Cinema Massimo che ha da poco riaperto i battenti, e il circolo Doxa di Guardia Sanframondi, che ha inserito le attività all’interno di un evento che da anni cura al Castello Medievale, il Doxapalooza. Su Avellino, invece, protagonisti sono i giovani del circolo Avionica e l’associazione Zia Lidia Social Club con il coinvolgimento di un istituto scolastico. Infine, su Salerno il circolo Marea con proiezioni al Cinema e l’utilizzo della propria sede. Altri partner del progetto sono l’associazione Lies di Padova con il suo Working Title Film Festival, che ha messo a disposizione i suoi migliori cortometraggi sul tema del lavoro, l’associazione ‘Doppio sogno’ che curerà alcune masterclass e la rivista Point Blank che dedicherà spazio all’iniziativa.

Nel pacchetto di opere che stanno girando ci sono grandi film italiani e stranieri, invitati ai principali Festival, dall’ultimo lavoro di Maresco La mafia non è più quella di una volta, premio della giuria a Venezia 76, a Dafne di Bondi e Selfie di Ferrente in selezione all’ultima Berlinale, e ancora a film dal grande respiro internazionale come Summer di Serebrennikov, Border di Abbasi, Non Fiction di Assayas, Lo and Behold di Herzog, Styx di Fischer e il doc a taglio ambientalista Antropocene.
Non mancano opere di giovani interessanti autori come Federico Francioni e il suo The First Shot, Nazareno Nicoletti con Giù dal vivo e Beniamino Barrese con La scomparsa di mia madre, tre talenti italiani che già hanno ottenuto riconoscimenti internazionali.

Questa prima edizione de Il Cinema che non si vede si concluderà a fine dicembre 2019, con l’obiettivo futuro di radicare ulteriormente le attività sulle zone campane meno coperte dall’offerta cinematografica, con particolare attenzione al mondo giovanile.

Al Gulliver di Alfonsine un film e una mostra per ricordare i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino

Davide Guerrini

direttore Cinema Gulliver

Al Gulliver di Alfonsine un film e una mostra per ricordare i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino

Il 9 novembre 1989 il ministro della propaganda della DDR annunciò in diretta tv la riapertura delle frontiere, causando una festa istantanea e improvvisata nelle strade in cui per la prima volta i berlinesi dell’est potevano incontrare liberamente quelli della Berlino occidentale, e dando il via alla caduta del muro più famoso della storia, abbattuto non solo dalle ruspe degli operai, ma anche da qualsiasi cittadino dotato di piccone, pronto a compiere un gesto fisico e simbolico, carico di rabbia e di gioia, racchiuso tra la tragedia del passato e la speranza di un futuro migliore. Ed è questa atmosfera unica che si respirava in quei giorni, nella Berlino a cavallo tra il 1989 e il 1990, che viene raccontata con grande attenzione e sensibilità in Die mauer – il muro, documentario diretto dal regista e pittore della DDR Jurgen Bottcher, che sarà proiettato al cinema Arci Gulliver di Alfonsine (RA) giovedì 17 ottobre (con replica il 24), nell’ambito di un evento multi-disciplinare dedicato al trentennale della caduta del muro di Berlino, organizzato da Arci Ravenna e Comune di Alfonsine, che comprende anche interventi critici e una mostra di dieci pannelli corredati di didascalie, documenti, cartine e foto d’epoca, allestiti lungo le pareti del cinema, mostra curata dall’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea in Ravenna e provincia. Il cinema Gulliver quindi come contenitore di varie suggestioni dedicate a un evento epocale, che viene però ricordato anche con uno sguardo al presente, e ai tanti muri, fisici e mentali, che dividono e lacerano ancora l’umanità.
IL FILM – Gli ultimi giorni del muro di Berlino nel centro della città intorno a Potsdamer Platz e alla Porta di Brandeburgo, in cui lo smantellamento del muro pervade i sensi. Il film più rappresentativo sulla caduta del muro di Berlino in cui le immagini sono mostrate sullo sfondo acustico di macchine edili, masse curiose e l’arrivo inarrestabile dei media.
Die Mauer è uno spaccato degli eventi che coinvolsero la capitale tedesca nell’inverno 1989-1990 che riflette l’anima di Berlino in quei giorni di cambiamento.
LA MOSTRA – Quando il cielo era diviso, che illustra la storia del muro di Berlino all’interno delle più ampie vicende europee tra il 1945 e il 1989, sarà visitabile dal 17 al 28 ottobre, negli orari di apertura del Gulliver, con interventi introduttivi di Nicolò Briccolani (17) e Ilaria Mazzoni (24).

Discorso pubblico e cinema del reale

di Roberto Roversi

Presidente nazionale UCCA

Discorso pubblico e cinema del reale

Sono ormai anni che ci si interroga sul progressivo imbarbarimento del discorso pubblico, inteso come coerente elaborazione intellettuale e progettuale delle problematiche di ordine politico, sociale, culturale che incalzano il nostro paese. La questione è stata ampiamente indagata, assestandosi su alcuni punti fermi difficilmente confutabili. Una prima causa può essere individuata nella progressiva, e apparentemente inarrestabile, perdita di autorevolezza della stampa: in particolare quella quotidiana, più che apportare un significativo contributo al dibattito delle idee, appare espressione di opposte tifoserie politiche, adottando titoli talmente sguaiati che non sfigurerebbero nelle peggiori curve degli stadi italiani. Il giornalismo online è una gara ad accaparrarsi click, senza il minimo ritegno per le foto e i video pubblicati (soft news, risse televisive, scandali), con l’apporto di centinaia di commenti dei lettori (o di troll? o di bot?) violenti ed offensivi.

Ma la maggiore perdita reputazionale è appannaggio della televisione. Il caso più eclatante è quello degli innumerevoli talk-show di cui sono disseminati i palinsesti. Le parole d’ordine sono velocità e ritmo, in modo da non perdere l’attenzione degli spettatori più incostanti: il risultato è una narrazione frammentata, superficiale, continuamente interrotta, senza alcuna possibilità per gli ospiti di inanellare discorsi con una loro compiutezza. Ancora più sorprendente è la pratica di invitare letteralmente le stesse persone a rotazione: ciò che importa non è tanto la presenza di una pluralità di opinioni, ma la fidelizzazione del pubblico nei confronti di alcuni, accuratamente scelti, personaggi pubblici, che come in un gioco di ruolo interpretano se stessi e garantiscono toni concitati e, auspicabilmente, almeno qualche insulto o un accenno di rissa.

E infine, la Rete, l’infinito oceano del web, con la sua appendice più infida, i social network. Nati e subito percepiti come aperti, inclusivi e pluralisti, la quintessenza dell’orizzontalità, hanno in realtà prodotto un coro indistinto di voci, che per farsi
notare nella babele tecnologica hanno dovuto costantemente alzare il volume ed esacerbare i toni, fino all’attuale deriva che ha da tempo sconfinato nel linguaggio d’odio e nella manipolazione dell’opinione pubblica attraverso la disinformazione mirata. Se le aspettative erano quelle di un allargamento della sfera pubblica attraverso la disintermediazione e la partecipazione al dibattito pubblico dei cittadini più informati, possiamo già concludere che si trattava di un wishful thinking. Ci sarebbe da aggiungere il cinema mainstream, ma anche in questo ambito la parola d’ordine è serialità. Nella perdurante perdita di appeal della commedia, storico asso portante della cinematografia nazionale, i film più visti sono sequel, prequel e reboot di supereroi e action movies: escapismo senza pretese.

Fortunatamente esiste un cinema altro, caparbio e cocciuto, che col reale si misura, lo incalza, non si tira indietro di fronte a temi ed argomenti scomodi, si prende i suoi tempi per approfondirli, sviscerarli, ovunque ciò possa portare. Ogni autore col suo stile e il suo registro, le sue ossessioni e le sue visioni: ma si va sempre fino in fondo, non si fanno sconti o compromessi.

Il tema più presente nella rassegna è quello dell’identità di genere, per quanto declinato con diversi toni e sensibilità.
In Normal Adele Tulli compone un flusso di immagini e coreografie della quotidianità, mostrandoci un affresco dei rituali e delle convenzioni che ci accompagnano dalla nascita e a cui quasi non prestiamo più attenzione, articolando una sottile riflessione sulla plasmazione dell’identità di gene- re che ci influenza ad ogni stadio della vita e che crea un’adesione a ruoli prestabiliti.

Se le geometrie cerebrali di Tulli invitano ad un’elaborazione razionale del tema, l’approccio di DicKtatorship di Hofer e Ragazzi è più divertito ed auto-ironico. Il problema del maschilismo e della misoginia in una società ancora di stampo patriarcale sfocia in un road movie sui generis nel quale i registi intervistano sociologi, psicologi, docenti universitari, scrittori, e in cui non mancano le testimonianze di personaggi pubblici quali Laura Boldrini, Michela Murgia e persino Rocco Siffredi. È una donna straordinaria la protagonista de La scomparsa di mia madre, Benedetta Barzini, proto-top-model nella New York della Factory wahroliana, sottrattasi consapevolmente allo stesso sistema capitalista di cui è stata meccanismo per oltre un decennio, poi divenuta giornalista, docente di antropologia della moda, femminista. «La mia faccia non è in vendita», o «la bellezza non è un merito» sono le frasi che pronuncia nello strenuo corpo a corpo che ingaggia con il figlio Beniamino che non accetta di lasciarla sparire.

Anche Dafne è una giovane donna speciale. Affetta da sindrome di Down, si trova ad affrontare lo sfaldamento degli equilibri familiari a seguito dell’improvvisa morte della madre. Ma sarà proprio la sua determinazione, insieme alla sua inesausta vitalità, a strappare il padre dalla depressione, intraprendendo con lui un viaggio fatto di reciproche scoperte e rivelazioni, nel tentativo di guardare avanti. Un film senza pietismi, che esalta la resilienza nascosta nelle persone apparentemente più indifese e fragili.

Sono 4 le donne, di diversa età, estrazione sociale, provenienza che sanno Dove bisogna stare. Che di fronte a situazioni di marginalità e di esclusione non si sono voltate dall’altra parte e portano un aiuto quotidiano ai rifugiati. In un’Italia sempre più ostile all’accoglienza, il loro interventismo evidenzia l’importanza di mettere al centro, sempre, la dignità umana.

Chi invece ci racconta, con infinita malinconia, l’agonia di un simbolo del riscatto industriale dell’Italia post-bellica è Andrea Segre col suo Il pianeta in mare. Il petrolchimico di Marghera, che ha rappresentato l’emancipazione per moltissimi operai, ma è stato anche la causa di una altissima percentuale di mortalità per gli abitanti del luogo, è divenuto un emblema delle prime lotte operaie che hanno posto al centro dell’attenzione il tema della sicurezza e dell’ambiente.

È malinconico e disincantato, e certamente depresso, anche lo sguardo di Franco Maresco ne La mafia non è più quella di una volta, verso i minuscoli individui di eccezionale vigliaccheria che derubricano Falcone e Borsellini a miti svuotati. Accompagnato dalla fotografa e militante antimafia Letizia Battaglia, il regista palermitano usa la sua consueta cifra stilistica, l’umorismo nero, per raccontare «una tragedia in corso – la mafia – di cui non si parla più, se non nelle fiction». Meritato Premio Speciale della Giuria a Venezia.

La legalità è il tema centrale anche di Selfie, nel quale Agostino Ferrente torna in un luogo ormai trasfigurato dall’immaginario televisivo (e cinematografico) quale sono le periferie violente di Napoli, superando gli stereotipi e affidando il racconto all’auto-rappresentazione della vita quoti- diana di due ragazzi “normali” (uno lavora presso un bar, l’altro vuole diventare parrucchiere), che non fanno parte di alcuna ‘gang,’ e questo, al rione Traiano, appare quasi un gesto rivoluzionario. Con Che fare quando il mondo è in fiamme? Roberto Minervini continua la sua denuncia delle piaghe e delle rovine del suo paese di adozione, spostandosi in Louisiana, nel profondo sud dell’America conservatrice e razzista e infiltrandosi in una comunità scossa da una serie di omicidi di giovani afro-americani per mano della polizia. Nascere, conoscere, viaggiare, abitare e rinascere sono i 5 capitoli in cui è suddiviso Amaranto, il suggestivo saggio incentrato su stili di vita, educativi ed alimentari, alternativi a quelli del modello consumistico corrente. Creazione artistica e allo stesso tempo operazione di militanza, avallata da- gli interventi di alcuni importanti filosofi e attivisti, tra cui Serge Latouche, il film racconta scelte di vita consapevoli, mosse dalla volontà di contribuire attivamente al bene comune, diventando così simbolo di una nuova resistenza possibile.

E infine, Se c’è un aldilà sono fottuto è l’accorato omaggio al regista di culto Claudio Caligari. Il film testimonia la sua passione divorante per il cinema, la sua totale intransigenza e la maledizione nel trovare i finanziamenti per le sue sceneggiature. Ricco di materiali inediti d’archivio e di testimonianze toccanti (da Mastandrea a Giallini, da Borghi a Marinelli, da Moretti a Ferreri), il film si chiude durante il montaggio di Non essere cattivo con una delle sue tipiche frasi lapidarie: «Muoio come uno stronzo e ho fatto solo 2 film». La grande uscita di scena del beautiful loser del cinema italiano.

‘La scomparsa di mia madre’ di Beniamino Barrese

di Chiara Malerba

Presidenza UCCA

‘La scomparsa di mia madre’ di Beniamino Barrese

Potrebbe capitarvi di vedere il sole oscurarsi e anche le stelle. Doveste mai notare un abbassamento generico di luce, beh non abbiate paura di quella gigantesca materia che lentamente ascende a occupare tutto lo spazio visivo dell’orizzonte, il cielo e ogni cosa; potrebbe sembrare una specie di pallone aerostatico immenso, non lo so, comunque vi ci abituerete.

Non sono gli alieni, non sono mostri alati, non è la fine del mondo. È soltanto la mia infinita, indescrivibile ammirazione per Benedetta Barzini per la sua smisurata, titanica personalità; è soltanto lo sconfinato entusiasmo che dona la visione de La scomparsa di mia madre, Premio Ucca L’Italia che non si vede all’ultima edizione del Biografilm Festival, ora candidato agli EFA (European Film Award) e unico film italiano in concorso al Sundance.

Non ditemi che dovrei spiegarvi cosa può esserci di interessante in questo film, in uscita in un nutrito manipolo di sale d’essai il prossimo 10 ottobre (se riuscite a zigzagare Joker forse riuscite addirittura a vederlo). Un documentario che racconta una donna che fa tutto bello. Un’opera prima, urgente, che emoziona e commuove.

Splendida, su un personaggio splendido. Forse dovrei scrivere di quanto sia bello entusiasmarsi e farsi trascinare per terra, nella ghiaia, da una storia ben raccontata. Una storia che parte da una persona e finisce col raccontarti la vita.

Una storia d’amore tra un figlio e una madre. Un amore a volte lacerante e straziante. E una partita, che si gioca con le carte della coerenza, del sacrificio e della rinuncia. Il documentario di Beniamino Barrese si inserisce in questa traiettoria.

Ha il talento (e il coraggio) di lavorare di fino sulla rabbia d’attesa e sulle reazioni di sfogo, sui sentimenti e sulle passioni. E lo fa con la stessa forza con cui all’epoca, il Cassavates di Volti spaccò il cuore a chi ancora ne aveva uno. Insomma, tutta quella roba lì, che c’è scritta sulla locandina -«Tenero e impetuoso», «Benedetta Barzini è una delle grandi donne del nostro tempo» – è vera. Andate a vedere questo film, e ditelo agli amici: farete del bene a voi stessi, e al cinema italiano.