Futura

Futura

di Pietro Marcello, Francesco Munzi, Alice Rohrwacher

Festival di Cannes 2021 (Quinzaine des Réalisateurs), Toronto, New York Film Festival

Anno: 2021

Paese: Italia

Durata: 105’

Futura è un’inchiesta collettiva svolta da Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher che ha lo scopo di esplorare l’idea di futuro di ragazze e ragazzi tra i 15 e i 20 anni incontrati nel corso di un lungo viaggio attraverso l’Italia.  Un ritratto del Paese osservato attraverso gli occhi di adolescenti che raccontano i luoghi in cui abitano, i propri sogni e le proprie aspettative tra desideri e paure. Ma chi sono questi giovani? Sono coloro che non sono più bambini, ma che non sono ancora adulti, coloro che sono impegnati nell’arduo compito del diventare adulti, una sorta di creature sovrannaturali. Sono i divenenti. Cosa diventeranno? Quanto ci riconosciamo nei giovani, oggi?

Note di regia

 “Ci siamo incontrati alla fine del 2019 con la voglia di realizzare un film insieme. A tutti noi è stato chiesto, nel corso della nostra carriera, di partecipare a lavori collettivi realizzando l’episodio di un progetto comune. La realizzazione di un singolo episodio pone tuttavia un grande limite alla possibilità di vivere un’esperienza di vera condivisione. Per noi lavorare insieme significa soprattutto guardare il lavoro dell’altro. Per questo, fin dal primo incontro, la nostra idea è stata quella di realizzare un’opera autenticamente collettiva, in cui la collettività fosse messa al servizio di un progetto organico. Da questo desiderio nasce Futura, un lavoro condiviso che ha lo scopo di raccontare i giovani italiani e tratteggiare, attraverso i loro occhi e le loro voci, un affresco del Paese. Un film di sentimento che attraverso gli adolescenti ci restituisce come in uno specchio l’immagine di noi adulti. Futura non è un film di osservazione e non è propriamente inscrivibile in quella vasta produzione definita cinema della realtà. Si tratta di un reportage nella sua forma più nobile. Nel realizzarlo ci siamo messi a servizio delle storie, subordinando il nostro ruolo di registi a quello di testimoni ed esecutori con l’intento di produrre un materiale filmico da raccogliere in una sorta di archivio del contemporaneo”.

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Allons Enfants

Allons Enfants

di Giovanni Aloi

Venezia 77 (Orizzonti)

Anno: 2020

Paese: Francia

Durata: 92'

Parigi, oggi. Léo è un giovane militare appena uscito dal corso di addestramento. Viene assegnato ad una caserma parigina da dove ogni giorno partono missioni di pattuglia e sorveglianza sulle strade della capitale, a difesa di obiettivi sensibili. Il loro compito è aspettare, aspettare un conflitto intangibile in cui nessuno è il nemico o forse tutti lo sono, in cui il pericolo può arrivare da qualsiasi parte e da qualsiasi persona. Oppure non arrivare mai. Ricevuto l’ordine di assicurare che una grande manifestazione antigovernativa non debordi dai limiti assegnati, Lèo è risucchiato nel mezzo di una folla furiosa. Quella che doveva essere una giornata come tutte le altre si trasforma in un caos di insoddisfazione, rabbia e paure di una generazione che vuole rivendicare i propri diritti. La pressione e la furia impotente che cresce da settimane sta per esplodere…

Note di regia

“Qualche anno fa, la Francia è “andata” in guerra contro il terrorismo. A seguito della dichiarazione dello stato di emergenza nel paese, siamo cresciuti abituandoci ad incontrare pattuglie di soldati con mitragliatrici in mano nelle vie della nostra città, più o meno quanti ne incontreresti in una nazione in guerra. Dire che “siamo cresciuti abituandoci” è una bugia. Incontrare tre soldati con fucili d’assalto ed una cinta di munizioni è qualcosa a cui non riesci ad abituarti, non io almeno.
La Terza Guerra è una guerra che magari inconsapevolmente noi stiamo combattendo. Una nuova
tipologia di guerra, non più di trincee, ma di potere. La tensione che accompagna il film viene da questa presa di coscienza: nessuno di noi sa esattamente che forme ha una guerra. Tutti noi abbiamo sicuramente visto immagini di scenari bellici, abbiamo visto film su questo tema, l’abbiamo vista sui notiziari, ma quale è davvero la “giusta” immagine di guerra?”

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L’occhio di vetro

L'occhio di vetro

di Duccio Chiarini

Festival dei Popoli 2020 (Premio Miglior Doc Italiano)

Anno: 2020

Paese: Italia

Durata: 86'

26 aprile 1945. Ferruccio Razzini, un ragazzo di quindici anni figlio di un eroe della Prima Guerra Mondiale, si ritrova a combattere tra le fila degli ultimi difensori della Repubblica di Salò. Ne scrive giorno per giorno in un diario in cui racconta anche i destini delle due sorelle maggiori, Liliana e Maria Grazia, sposate l’una a un fascista l’altra a un partigiano comunista. Il ragazzo è un vecchio zio del regista che, guidato da quel diario inizia, una ricerca nel passato della sua famiglia.

Note di regia

“Non ricordo esattamente il giorno in cui, bambino, venni a sapere che i miei nonni materni erano stati fascisti; né tantomeno ricordo come venni a saperlo, ma ricordo perfettamente il giorno in cui, ormai adolescente, mi resi conto di quello che ciò significava. Quel giorno la parola fascismo uscì dai libri di scuola e si frappose come nebbia tra me e le persone più amate, rendendo improvvisamente torbido tutto ciò che per anni era stato cristallino.  Del ventennio, in casa di mia madre, non si parlava mai: eppure, più quella parola veniva rimossa dalle conversazioni di casa, più essa diventava un’ambigua e inquietante presenza familiare. Negli anni quell’ambiguità divenne più profonda e lacerante. Per anni ho tentato di abbattere quel muro, ma né le mie provocazioni di ventenne né i ragionamenti di trentenne sono mai riusciti a colmare quella distanza; è stato purtroppo solo dopo la morte dei miei nonni che sono riuscito a fare luce su quegli anni, ricomponendo in questo documentario i tasselli di un’intricata storia di famiglia”.

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Naviganti

Naviganti

di Daniele De Michele

Venezia 78 – Giornate degli Autori

Anno: 2021

Paese: Italia

Durata: 61’

Artisti disperati, squattrinati, fragili e con un evidente senso di inutilità, che provavano a farcela… Quando nell’agosto del 2020 tutto riaprì, dopo mesi di confinamento in casa, gli artisti furono gli unici a non riprendere normalmente il loro lavoro. Nel tempo di un anno e mezzo, dentro e fuori il lockdown, Donpasta racconta la sua quotidianità intrecciata a quella di una scenografa disoccupata, un musicista senza spettacoli, un contadino poeta. Erano dei sopravvissuti che avevano bisogno di un’idea per uscire dalle acque torbide e fu così che divennero i Naviganti.

Note di regia

“Questo film ha una debolezza che è la sua forza. Non era possibile scriverlo in anticipo. Si scriveva mentre le cose accadevano al mondo e alla gente.  Ho seguito i protagonisti per un anno e mezzo, per capire come sarebbe cambiato il mondo e come, di conseguenza, le loro vite.  Quando chiusero tutto la prima volta avevo la netta percezione che per gli artisti e i lavoratori dello spettacolo nulla sarebbe stato più lo stesso.  Lo stavo vivendo sulla mia pelle, seduto sul divano, dopo venti anni passati a fare spettacoli in giro per il mondo.  Lo sentivo sulla pelle delle centinaia di artisti con cui ho condiviso palchi e progetti. Avevo paura, per me e per loro…”

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Game Of The Year

Game of The Year

di Valerio Jalongo

Biografilm 2021 (Miglior Doc Italiano), Annecy Cinéma Italien

Anno: 2020

Paese: Italia

Durata: 98’

Il mondo dei videogiochi in Italia raccontato attraverso le storie dei creatori, dei giocatori professionisti e di chi ne parla sulle piattaforme di streaming. Sotto la lente di questo lavoro si snoda un mondo complesso, che coinvolge sviluppatori, giocatori professionisti, content creators: Redaelli ci porta a contatto con le aspirazioni, le sfide e le pressioni dell’industria dell’intrattenimento. Game of the Year svela gli aspetti della la vita dei giovanissimi enfant prodige così come quella degli autori o dei giocatori più scafati che decidono di dedicare la vita a questa forma d’arte. Tra l’aspirazione al successo e le possibili rovine individuali questo documentario d’osservazione diventa un vero e proprio ritratto generazionale.

Note di regia

“La scelta di raccontare il videogioco nasce dal mio desiderio di diffondere la divulgazione di un medium che viene quasi tenuto nascosto nell’ambito più popolare e mainstream, nonostante sia la culla dei nuovi autori, muova miliardi di dollari, e in Italia tocchi il 43% della popolazione. Il fatto è che bisogna smetterla di pensare al videogioco come a un “linguaggio minore” o come a un mercato di nicchia, per cui spero che Game Of The Year riesca a raccontare una buona parte delle sfumature che presenta questo grande mondo”.

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Spin Time – Che fatica la democrazia

Spin Time | Che fatica la democrazie

di Sabina Guzzanti

Venezia 78 - Giornate degli Autori

Anno: 2021

Paese: Italia

Durata: 92’

Il protagonista del racconto è un palazzo occupato di 17mila metri quadri, famoso per l’intervento dell’elemosiniere del Papa, in cui è in atto un esperimento politico e sociale. Ci sono delle votazioni che vengono continuamente rimandate e c’è uno spettacolo con regole e finalità del tutto particolari. Questi due plot interagiscono fra loro in modo inaspettato, anche per chi ha pensato il film, e consentono di conoscere una realtà di cui mai avremmo immaginato l’esistenza, che sembra insieme lontana e tanto familiare.

Note di regia

“Uno slogan per pubblicizzare Spin Time potrebbe essere “i poveri come non li avete mai visti”. La voce narrante, molto personale, porta lo spettatore a fare un’esperienza simile a quella dell’autrice, che nel realizzarlo ha visto dissolversi molti dei suoi pregiudizi. I 450 occupanti di Santa Croce, che all’inizio percepiamo come una massa infelice e aliena, diventano sempre più simili a noi. Una realtà parallela che ci ricorda il nostro condominio o il parlamento. Il mondo degli invisibili, quelli colpiti dalla sventura che scansiamo come se potesse essere contagiosa, qui non si presentano come vittime, ma nel tentativo encomiabile per quanto spesso fallimentare, di vivere in modo dignitoso, riconoscendosi come soggetto politico e capace di esprimere una propria cultura. E il tema principale del film riguarda proprio la funzione della cultura in una democrazia”.

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Io resto

Io resto

di Michele Aiello

Biografilm 2021 (Miglior Doc Italiano), Visions du Réel

Anno: 2020

Paese: Italia

Durata: 81’

Una videocamera accede, in via eccezionale, ai reparti dell’ospedale pubblico di una delle città che sta drammaticamente soffrendo il primo picco pandemico del COVID-19.
E’ un delicato esercizio di osservazione, che coglie con rispetto l’instaurarsi di nuove relazioni tra pazienti e personale sanitario, rese necessarie dalla pandemia e che mostrano un estremo bisogno comune, il calore umano.
Anche se a volte è doloroso, il film entra in empatia con le paure dei malati e con l’ascolto professionale ma accorato di medici e infermieri, rimanendo in una dimensione intima, lontana dal voyeurismo, dall’apologia dell’eroismo e da un’angosciosa rappresentazione mediatica.

Note di regia

“Quando la pandemia ha colpito l’Italia e gli ospedali hanno cominciato a fronteggiare la prima grande ondata di pazienti, ho pensato alle tante instancabili lavoratrici che rappresentano un punto di riferimento prezioso per la loro comunità. Da lì è cresciuto il desiderio di raccontare un certo tipo di rapporto nella cura, non solo sanitario ma di sincero trasporto.
Per questo motivo non volevo ritrarre il personale sanitario come un eroe impersonale, come montava nella grande narrazione mediatica. Piuttosto, mi interessava cogliere l’essenza di alcuni momenti capaci di raccontare, con piccoli gesti, i grandi dilemmi dell’umanità in un momento storico così importante per tutti. In particolare, mi interessava il punto di vista di persone normali nella condizione obbligata di dover lavorare in condizioni eccezionali, senza un tornaconto personale”.

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Disco Ruin

Disco Ruin | 40 anni di club culture italiana

di Lisa Boni, Francesca Zerbetto

Festa del Cinema di Roma

Anno: 2020

Paese: Italia

Durata: 115’

Un viaggio visionario, l’ascesa e il declino dell’Italia del clubbing, raccontati dai protagonisti di questa storia, tra notti in autostrada e afterhours che divorano il giorno.
Quattro generazioni che vogliono essere “messe in lista” per entrare in questi luoghi di aggregazione e di perdizione, dove non conta che cosa fai di giorno, ma solo chi interpreti durante la notte.
Quarant’anni in cui la discoteca ha prodotto cultura, arte, musica e moda.
Questa è la storia del Piper, dell’Altromondo, della Baia degli Angeli, del Cosmic, dell’Histeria, del Plastic, del Kinki, dell’Ethos, del Diabolik’a, del Cocoricò, dell’Insomnia, del Tenax…

Note di regia

“Disco Ruin nasce dalla fascinazione evocata dalle rovine di centinaia di discoteche abbandonate in tutta Italia. Le “cattedrali del divertimento” sono state i più potenti luoghi di aggregazione per diverse generazioni. Hanno spostato migliaia di persone di tutte le classi sociali su e giù per l’Italia. Questa storia parte dagli albori, dalle balere, dai night degli anni ’60, dalle prime discoteche degli anni ’70, per poi focalizzarsi sugli anni ’80 e i ’90. Nessun altro luogo riesce meglio a concentrare più arti insieme: le discoteche calamitavano e lanciavano tutte le nuove tendenze. Le testimonianze di chi l’ha vissuta, di chi ci ha suonato, di chi ne è stato il protagonista. Storie che raccontano le trasformazioni della nostra società nelle sue ore di svago ed eccessi, in ambienti in cui le classi sociali si mescolano. Momenti in cui la libertà di esprimere il corpo, la sessualità, l’individualità e la creatività sono leciti, quasi necessari. Luoghi magici e di perdizione, di alienazione, in cui attraverso liturgie di gruppo celebravano riti collettivi quasi tribali risvegliando istinti primordiali: la danza, la musica, l’incontro tra i sessi. Il film racconta un’Italia che non esiste più e che in molti non si sono accorti che sia mai esistita”.

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L’acqua, l’insegna la sete

L'acqua, l'insegna la sete | Storia di classe

di Valerio Jalongo

Visioni dal Mondo, Visions du Réel - Nyon

Anno: 2020

Paese: Italia

Durata: 76’

Lopez, un professore in pensione, ritrova in un vecchio giornale di classe “L’acqua, l’insegna la sete”, una struggente poesia di Emily Dickinson che in pochi versi rivela come la vita ci insegna il valore delle cose. Sull’onda di quella poesia e dei suoi ricordi, il prof. Lopez sente il bisogno di sapere cosa è rimasto degli anni passati insieme ai suoi alunni; parte così alla ricerca dei ragazzi, che oggi sono ormai dei “vecchi” trentenni. In questi anni non tutto è andato per il verso giusto. A poco a poco emerge un ritratto intimo del destino di ognuno: navigando tra il passato e il presente, si disegna l’impronta del tempo passato insieme, e la storia di una classe fra tante, che a volte sembra inseguire versi di una poesia.

Note di regia

“Facendo questo film ho capito cose che non mi erano chiare come professore: a volte anche i professori migliori sono coinvolti in promesse che la scuola non riesce a mantenere. Anno dopo anno, cambiavano le facce, i nomi, i modi di vestire dei ragazzi, ma tutto si ripeteva e la cosa più toccante è stato scoprire che nessuno dava la colpa alla scuola del proprio fallimento scolastico. Allora non immaginavamo che il mondo stava preparando per quei ragazzi un futuro precario, pieno di passi indietro anche nei diritti che consideravamo acquisiti per sempre. Ci vuole tempo per capire e arrivare all’essenza delle cose”.

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Punta Sacra

Punta Sacra

Punta Sacra

di Francesca Mazzoleni

Visions du Réel (Miglior FIlm), Festa del Cinema di Roma - Alice nella Città

Anno: 2020

Paese: Italia

Durata: 94’

L’ultimo triangolo di spazio abitabile alla foce del Tevere: le persone che ci vivono lo chiamano Punta Sacra. Il documentario racconta la vita della comunità dell’Idroscalo di Ostia, oggi composto da 500 famiglie. Su tutte, quella di Franca, a capo di una famiglia completamente al femminile, narratrice e motore delle storie che rendono vivo quel lembo di terra.
Un racconto fra realismo e proiezioni nell’immaginario, fra nostalgia ed inevitabile pragmatismo. E un desiderio su tutto: poter continuare a vivere in quel luogo, che per loro è casa.

Note di regia

“L’intento era quello di raccontare l’altro lato di un luogo complesso: l’ultima borgata autocostruita della mia città. Un pezzo fondamentale della storia di Roma. Un’idea di vita comunitaria alla quale non siamo più abituati. Un luogo che invece per decenni è stato associato solo alla morte di Pasolini, al degrado e ai racconti cinematografici di criminalità. Al centro di Punta Sacra ci sono vite al limite, come il luogo che le ospita. Libertà, precarietà, lotta, resilienza e riscatto sono i temi che le animano. Il rischio di demolizione, la forza distruttrice della natura e il mondo degli interessi commerciali, sono le ombre che circondano e si contendono questa fragile terra. La risposta della comunità a questa stretta di incertezze e pericoli è però una forza vi tale: feste continue, amori, liti, celebrazioni per colmare i vuoti lasciati dalle case abbattute. Punta Sacra parla di appartenenza e di un enorme desiderio di riscatto, parla di una comunità che non si piange addosso ma che celebra la vita.”.

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