Diamanti Grezzi (Uncut Gems)

Chiara Malerba

Presidenza nazionale UCCA

Diamanti Grezzi (Uncut Gems)

Tutto così esagerato. Tutto così magnetico. Impossibile distogliere lo sguardo dallo schermo. Uncut Gems è il folgorante film – in programmazione su Netflix – diretto dai fratelli Josh e Benny Safdie, ebrei newyorkesi al terzo lungometraggio di finzione dopo Heaven Knows What(2014) e Good Time (2017).

Commedia nera, dramma, noir urbano con getti di thriller. Difficile (e ingiusto) inquadrare in un unico genere questo film che racconta le disavventure di un gioielliere newyorkese impegnato in continui e disperati tentativi di pagare i propri debiti di gioco.

Scorsese (anche alla produzione), soprattutto Ferrara, e inoltre Allen, Spike Lee, schegge di Altman, Cassavetes, Jonze, condensati in un unico film.

Uncut Gems è uno spettacolo claustrofobico, penetrante, è una parabola universale sulle occasioni mancate, in una New York schizzata ed irrequieta.

Il vero diamante è Adam Sandler, che per questo film ha recentemente vinto l’Independent Spirit Award come Miglior Attore Protagonista. Lui, autore di una carriera sbilenca costellata di performance da Razzie Award e improvvisi, clamorosi lampi di bravura – e questo è il caso. I Safdie Brothers, già brillano.

I due registi dal talento incendiario, hanno molto più di qualcosa da dire e da mostrare. Il loro è cinema materico, peculiare, che si ancora e affonda nell’evidenza delle cose, delle persone, di ciò che si può vedere, toccare, annusare, mordere. Anche ferire. Inaudito e perfetto, l’uso di L’Amour Toujours di Gigi D’Agostino.

Lights out.

Ucca alla Berlinale insieme a Carbonia Film Festival

CARBONIA FILM FESTIVAL

Ucca alla Berlinale insieme a Carbonia Film Festival

Verrà promosso alla 70^ edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino (20.02 – 01.03) il bando di concorso che annuncia la decima edizione del Carbonia Film Festival, che si svolgerà nella città mineraria dal 6 all’11 ottobre 2020.

La selezione prevista dal bando si articola in due sezioni competitive: lungometraggi internazionali (fiction e documentari di durata superiore ai 60′) e cortometraggi internazionali (film di durata inferiore ai 30′). Il concorso intende presentare il meglio della produzione cinematografica internazionale legata ai temi del lavoro e della migrazione, forte di un ammontare complessivo dei premi che per questa edizione si attesta sugli € 8.000, divisi in sei categorie.

Quest’anno, nella sezione lungometraggi, sarà presente per la prima volta anche il Premio Ucca Carbonia Film Festival del valore di € 1.000. La particolarità di questo premio, nello stile Ucca, è nella natura dello stesso, che si configura come un incentivo alla circuitazione attraverso la possibilità che verrà data a due realtà importanti della rete nazionale, Arci Movie di Ponticelli e Cinema Azzurro di Ancona, di organizzare due proiezioni pubbliche del film vincitore.
Un’opportunità e una modalità di valorizzazione reciproca tra la rete Ucca, che è in grado di proporre i suoi spazi, il lavoro sul pubblico fatto negli anni, per ospitare due eventi internazionali che saranno in grado di offrire un contenuto a cui altrimenti sarebbe stato difficile accedere, e il Festival, che vedrà uno dei suoi film selezionati venire presentato oltre il confine dell’Isola nel territorio nazionale. Un Festival che, seppur piccolo, ha tenuto a posizionarsi nel panorama internazionale come una realtà che, stando alle parole del suo direttore artistico Francesco Giai Via, «lavorando sulla formula di un evento raccolto e conviviale in cui l’approfondimento e la sperimentazione sono andate di pari passo con una atmosfera calorosa e informale, ha proposto una selezione di qualità, curiosa e avventurosa (realizzata attraverso un programma di anteprime nazionali, ndr) che ha saputo trovare con film e ospiti un equilibrio fra la ricerca sui nuovi linguaggi e la centralità dei temi storici del lavoro e delle migrazioni».

Il Premio Ucca Carbonia Film Festival, che vedrà in giuria anche due operatori culturali delle realtà ospitanti le proiezioni del film vincitore, è solo l’ultima delle collaborazioni tra l’associazione nazionale Ucca e il Carbonia Film Festival.
Nel 2017 il circolo ‘Opere Prime’ di Roma ha stretto con il Festival una media partnership realizzando i suoi daily report in diretta dalla kermesse. Nel 2019, in occasione del momento intermedio tra un’edizione e l’altra del concorso biennale, quattro operatrici e operatori culturali dei circoli ‘Altera’ di Torino e Arci Movie di Ponticelli hanno partecipato al programma Carbonia Cinema Giovani, dedicato alla formazione delle nuove generazioni attraverso delle masterclass esclusive con gli ospiti del Festival.Una collaborazione che si rinnova e si rafforza e che poggia solidamente anche sulla presenza Ucca nel territorio del Sulcis-Iglesiente attraverso i circoli CIC Arci Iglesias, che sta realizzando con merito il progetto Casa del Cinema, e la Gabbianella Fortunata di Carbonia che si accinge a proporre la nona edizione della rassegna L’Italia che Non si Vede.

Carbonia Film Festival è un evento organizzato dal Centro Servizi Culturali di Carbonia della Società Umanitaria – Fabbrica del Cinema e Cineteca Sarda; insieme a Regione Autonoma della Sardegna; con il patrocinio del Comune di Carbonia; e con il sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission.

Sul sito www.carboniafilmfest.org, è possibile consultare il testo del bando e accedere al modulo di iscrizione online con tutte le informazioni dettagliate.

Il bando, che ha carattere internazionale, resterà aperto sino al prossimo 31 maggio.

Carbonia Film Festival: online il bando di concorso

CARBONIA

Carbonia Film Festival

Online il bando di concorso

Il CARBONIA FILM FESTIVAL CINEMA/ LAVORO/ MIGRAZIONI ospita due sezioni competitive (d’ora in poi Concorso), allo scopo di divulgare e promuovere la conoscenza attraverso storie che abbiano come tema principale il lavoro e/o migrazione.

A partire da questi temi è possibile rappresentare e declinare, anche sullo sfondo, qualunque manifestazione del carattere umano, come la sofferenza, per esempio fisica e psicologica; la limitazione nell’espressione della propria cultura, della propria diversità in tutte le sue forme; la rappresentazione della violenza, anche armata, sul singolo o sulla comunità; e in generale tutte quelle limitazioni dei propri diritti di essere umano universalmente riconosciuti che dovrebbero essere tutelati dalle istituzioni.

Sono invitati a partecipare lungo e cortometraggi, di finzione o documentari.

Il concorso è organizzato e promosso dal Centro Servizi Culturali Carbonia della Società Umanitaria – Fabbrica del Cinema insieme alla Cineteca Sarda.

Il concorso si terrà a Carbonia dal 06 al 11 ottobre 2020.

Le giurie assegneranno, a proprio insindacabile giudizio, i seguenti premi:


Concorso Internazionale Lungometraggi | Film > 60′

(partecipano alla competizione gli 8 lungometraggi di finzione o documentari in selezione)

Premio Miglior Film € 4.000
attribuito da una giuria composta da 3 persone nominate dalla Direzione del Festival

Premio del Pubblico € 1.000,00
attribuito dagli spettatori ai film del Concorso Internazionale Lungometraggi

Premio Ucca Carbonia Film Festival € 1.000,00
premio per la circuitazione attribuito da una giuria nominata dall’Unione Circoli Cinematografici Arci

Concorso Internazionale Cortometraggi | Film < 30′

Premio Concorso Internazionale Cortometraggi € 1.000
attribuito da una giuria composta da componenti del Sardegna Film Network

Premio Giuria Cinema Giovani € 500,00
attribuito da una giuria composta dai 10 vincitori del bando “Carbonia Cinema Giovani”

Premio Giuria Scuole € 500,00
attribuito da una giuria composta da studenti e studentesse degli Istituti di istruzione superiore della città di Carbonia.


Per tutte le info visita: http://www.carboniafilmfest.org/it/edizione-2020.html

“Santa Subito” l’8 marzo nei circoli Ucca e Arci

8 MARZO

“Santa Subito” l’8 marzo nei circoli Ucca e Arci

In occasione della Giornata internazionale della donna, Arci e Ucca sostengono la mobilitazione delle donne contro la violenza di genere anche attraverso il cinema. 

Nelle giornate dell’8 e 9 marzo metteremo a disposizione gratuitamente alcuni passaggi di Santa Subito, il film di Alessandro Piva, vincitore della Festa del Cinema di Roma.

Il film racconta la storia di Santa Scorese, giovane attivista cattolica della provincia di Bari, che per anni subisce le morbose attenzioni di uno sconosciuto molestatore,  ma non mette mai in discussione la sua vocazione all’aiuto del prossimo e il suo percorso spirituale. La sera del 15 marzo 1991 al rientro a casa Santa viene accoltellata a morte dal suo persecutore, davanti agli occhi impotenti dei genitori e di una società all’epoca impreparata ad affrontare i reati di genere e lo stalking. Aveva ventitré anni.

Tramite le interviste a familiari e conoscenti della vittima, Piva ci restituisce in maniera efficace lo spaccato sociale dell’epoca e le immagini di repertorio riferiscono di un’Italia ancora terribilmente arretrata sulla lotta al femminicidio ed ai fenomeni di stalking.

Dio è Donna e si chiama Petrunya

di Andrea Contu

Presidenza nazionale UCCA

Dio è donna e si chiama Petrunya

La 37^ edizione del Torino Film Festival ha dedicato una retrospettiva alla regista macedone Teona Strugar Mitevska, che quest’anno ha presentato quello che è stato ritenuto da critica e pubblico il film rivelazione della 69^ Berlinale, God Exist, Her Name Is Petrunya, nelle sale italiane dallo scorso 12 dicembre.

Petrunya è una trentaduenne disoccupata che vive in un piccolo paese della Macedonia, laureata in Storia ma troppo formata per le esigenze piccole di un mondo immobile come i riti che da secoli porta avanti.

Un giorno, quasi per caso, o per rabbia, si intromette in una celebrazione religiosa, impossessandosi di una croce riservata alla virile gara di uomini seminudi che si buttano nel fiume ghiacciato per portare a se stessi e al villaggio i migliori auspici. Autorità religiose e civili, sotto la pressione di un gruppo di maschi alfa tanto violenti quanto ignoranti, cercheranno di convincere Petrunya a ristabilire la tradizione, ma la donna resisterà a costo della propria incolumità fisica.

Sviluppando tutte le tematiche che le sono proprie, la regista macedone realizza un film maturo, dove la storia di una giovane donna in lotta contro il sistema patriarcale e sociale diventa una vicenda universale capace di parlare a un’intera generazione.
Petrunya è emarginata perché donna, perché proletaria, perché non ha un fisico da modella né un rapporto affettivo, perché giovane e quindi da mettere sotto tutela, della polizia, dei preti, di una madre invadente che sa cosa è meglio per lei.
Petrunya è l’icona di una generazione tradita, arrabbiata e messa ai margini, ma mai doma. E sembra riecheggiare il «Cosa vogliamo? Vogliamo tutto». Anche essere Dio.
Al film è stato appena assegnato il Premio LUX 2019 del Parlamento europeo.

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=7WfM8ZgXU2Y

Il Cinema che non si vede “invade” la Campania

di Antonio Borrelli

Vicepresidente nazionale UCCA

Il Cinema che non si vede “invade” la Campania

Promozione della cultura cinematografica e circuitazione diffusa di un cinema a vocazione autoriale sono due degli obiettivi fondamentali per un’associazione nazionale come Ucca. Grazie alle possibilità offerte dalla Legge sul Cinema della Regione Campania, è stato possibile realizzare una rassegna itinerante dal titolo Il cinema che non si vede che si sta svolgendo in queste settimane nelle tre province di Avellino, Benevento e Salerno, con tante proiezioni, incontri e masterclass.

Si tratta di un progetto di rete ampio, che coinvolge numerosi partner sia interni che esterni alla rete Arci e Ucca. Nella provincia di Benevento i due centri dell’azione progettuale sono il circolo Kinetta, con il proprio spazio Labus e con eventi presso il Cinema Massimo che ha da poco riaperto i battenti, e il circolo Doxa di Guardia Sanframondi, che ha inserito le attività all’interno di un evento che da anni cura al Castello Medievale, il Doxapalooza. Su Avellino, invece, protagonisti sono i giovani del circolo Avionica e l’associazione Zia Lidia Social Club con il coinvolgimento di un istituto scolastico. Infine, su Salerno il circolo Marea con proiezioni al Cinema e l’utilizzo della propria sede. Altri partner del progetto sono l’associazione Lies di Padova con il suo Working Title Film Festival, che ha messo a disposizione i suoi migliori cortometraggi sul tema del lavoro, l’associazione ‘Doppio sogno’ che curerà alcune masterclass e la rivista Point Blank che dedicherà spazio all’iniziativa.

Nel pacchetto di opere che stanno girando ci sono grandi film italiani e stranieri, invitati ai principali Festival, dall’ultimo lavoro di Maresco La mafia non è più quella di una volta, premio della giuria a Venezia 76, a Dafne di Bondi e Selfie di Ferrente in selezione all’ultima Berlinale, e ancora a film dal grande respiro internazionale come Summer di Serebrennikov, Border di Abbasi, Non Fiction di Assayas, Lo and Behold di Herzog, Styx di Fischer e il doc a taglio ambientalista Antropocene.
Non mancano opere di giovani interessanti autori come Federico Francioni e il suo The First Shot, Nazareno Nicoletti con Giù dal vivo e Beniamino Barrese con La scomparsa di mia madre, tre talenti italiani che già hanno ottenuto riconoscimenti internazionali.

Questa prima edizione de Il Cinema che non si vede si concluderà a fine dicembre 2019, con l’obiettivo futuro di radicare ulteriormente le attività sulle zone campane meno coperte dall’offerta cinematografica, con particolare attenzione al mondo giovanile.

Al Gulliver di Alfonsine un film e una mostra per ricordare i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino

Davide Guerrini

direttore Cinema Gulliver

Al Gulliver di Alfonsine un film e una mostra per ricordare i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino

Il 9 novembre 1989 il ministro della propaganda della DDR annunciò in diretta tv la riapertura delle frontiere, causando una festa istantanea e improvvisata nelle strade in cui per la prima volta i berlinesi dell’est potevano incontrare liberamente quelli della Berlino occidentale, e dando il via alla caduta del muro più famoso della storia, abbattuto non solo dalle ruspe degli operai, ma anche da qualsiasi cittadino dotato di piccone, pronto a compiere un gesto fisico e simbolico, carico di rabbia e di gioia, racchiuso tra la tragedia del passato e la speranza di un futuro migliore. Ed è questa atmosfera unica che si respirava in quei giorni, nella Berlino a cavallo tra il 1989 e il 1990, che viene raccontata con grande attenzione e sensibilità in Die mauer – il muro, documentario diretto dal regista e pittore della DDR Jurgen Bottcher, che sarà proiettato al cinema Arci Gulliver di Alfonsine (RA) giovedì 17 ottobre (con replica il 24), nell’ambito di un evento multi-disciplinare dedicato al trentennale della caduta del muro di Berlino, organizzato da Arci Ravenna e Comune di Alfonsine, che comprende anche interventi critici e una mostra di dieci pannelli corredati di didascalie, documenti, cartine e foto d’epoca, allestiti lungo le pareti del cinema, mostra curata dall’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea in Ravenna e provincia. Il cinema Gulliver quindi come contenitore di varie suggestioni dedicate a un evento epocale, che viene però ricordato anche con uno sguardo al presente, e ai tanti muri, fisici e mentali, che dividono e lacerano ancora l’umanità.
IL FILM – Gli ultimi giorni del muro di Berlino nel centro della città intorno a Potsdamer Platz e alla Porta di Brandeburgo, in cui lo smantellamento del muro pervade i sensi. Il film più rappresentativo sulla caduta del muro di Berlino in cui le immagini sono mostrate sullo sfondo acustico di macchine edili, masse curiose e l’arrivo inarrestabile dei media.
Die Mauer è uno spaccato degli eventi che coinvolsero la capitale tedesca nell’inverno 1989-1990 che riflette l’anima di Berlino in quei giorni di cambiamento.
LA MOSTRA – Quando il cielo era diviso, che illustra la storia del muro di Berlino all’interno delle più ampie vicende europee tra il 1945 e il 1989, sarà visitabile dal 17 al 28 ottobre, negli orari di apertura del Gulliver, con interventi introduttivi di Nicolò Briccolani (17) e Ilaria Mazzoni (24).

Discorso pubblico e cinema del reale

di Roberto Roversi

Presidente nazionale UCCA

Discorso pubblico e cinema del reale

Sono ormai anni che ci si interroga sul progressivo imbarbarimento del discorso pubblico, inteso come coerente elaborazione intellettuale e progettuale delle problematiche di ordine politico, sociale, culturale che incalzano il nostro paese. La questione è stata ampiamente indagata, assestandosi su alcuni punti fermi difficilmente confutabili. Una prima causa può essere individuata nella progressiva, e apparentemente inarrestabile, perdita di autorevolezza della stampa: in particolare quella quotidiana, più che apportare un significativo contributo al dibattito delle idee, appare espressione di opposte tifoserie politiche, adottando titoli talmente sguaiati che non sfigurerebbero nelle peggiori curve degli stadi italiani. Il giornalismo online è una gara ad accaparrarsi click, senza il minimo ritegno per le foto e i video pubblicati (soft news, risse televisive, scandali), con l’apporto di centinaia di commenti dei lettori (o di troll? o di bot?) violenti ed offensivi.

Ma la maggiore perdita reputazionale è appannaggio della televisione. Il caso più eclatante è quello degli innumerevoli talk-show di cui sono disseminati i palinsesti. Le parole d’ordine sono velocità e ritmo, in modo da non perdere l’attenzione degli spettatori più incostanti: il risultato è una narrazione frammentata, superficiale, continuamente interrotta, senza alcuna possibilità per gli ospiti di inanellare discorsi con una loro compiutezza. Ancora più sorprendente è la pratica di invitare letteralmente le stesse persone a rotazione: ciò che importa non è tanto la presenza di una pluralità di opinioni, ma la fidelizzazione del pubblico nei confronti di alcuni, accuratamente scelti, personaggi pubblici, che come in un gioco di ruolo interpretano se stessi e garantiscono toni concitati e, auspicabilmente, almeno qualche insulto o un accenno di rissa.

E infine, la Rete, l’infinito oceano del web, con la sua appendice più infida, i social network. Nati e subito percepiti come aperti, inclusivi e pluralisti, la quintessenza dell’orizzontalità, hanno in realtà prodotto un coro indistinto di voci, che per farsi
notare nella babele tecnologica hanno dovuto costantemente alzare il volume ed esacerbare i toni, fino all’attuale deriva che ha da tempo sconfinato nel linguaggio d’odio e nella manipolazione dell’opinione pubblica attraverso la disinformazione mirata. Se le aspettative erano quelle di un allargamento della sfera pubblica attraverso la disintermediazione e la partecipazione al dibattito pubblico dei cittadini più informati, possiamo già concludere che si trattava di un wishful thinking. Ci sarebbe da aggiungere il cinema mainstream, ma anche in questo ambito la parola d’ordine è serialità. Nella perdurante perdita di appeal della commedia, storico asso portante della cinematografia nazionale, i film più visti sono sequel, prequel e reboot di supereroi e action movies: escapismo senza pretese.

Fortunatamente esiste un cinema altro, caparbio e cocciuto, che col reale si misura, lo incalza, non si tira indietro di fronte a temi ed argomenti scomodi, si prende i suoi tempi per approfondirli, sviscerarli, ovunque ciò possa portare. Ogni autore col suo stile e il suo registro, le sue ossessioni e le sue visioni: ma si va sempre fino in fondo, non si fanno sconti o compromessi.

Il tema più presente nella rassegna è quello dell’identità di genere, per quanto declinato con diversi toni e sensibilità.
In Normal Adele Tulli compone un flusso di immagini e coreografie della quotidianità, mostrandoci un affresco dei rituali e delle convenzioni che ci accompagnano dalla nascita e a cui quasi non prestiamo più attenzione, articolando una sottile riflessione sulla plasmazione dell’identità di gene- re che ci influenza ad ogni stadio della vita e che crea un’adesione a ruoli prestabiliti.

Se le geometrie cerebrali di Tulli invitano ad un’elaborazione razionale del tema, l’approccio di DicKtatorship di Hofer e Ragazzi è più divertito ed auto-ironico. Il problema del maschilismo e della misoginia in una società ancora di stampo patriarcale sfocia in un road movie sui generis nel quale i registi intervistano sociologi, psicologi, docenti universitari, scrittori, e in cui non mancano le testimonianze di personaggi pubblici quali Laura Boldrini, Michela Murgia e persino Rocco Siffredi. È una donna straordinaria la protagonista de La scomparsa di mia madre, Benedetta Barzini, proto-top-model nella New York della Factory wahroliana, sottrattasi consapevolmente allo stesso sistema capitalista di cui è stata meccanismo per oltre un decennio, poi divenuta giornalista, docente di antropologia della moda, femminista. «La mia faccia non è in vendita», o «la bellezza non è un merito» sono le frasi che pronuncia nello strenuo corpo a corpo che ingaggia con il figlio Beniamino che non accetta di lasciarla sparire.

Anche Dafne è una giovane donna speciale. Affetta da sindrome di Down, si trova ad affrontare lo sfaldamento degli equilibri familiari a seguito dell’improvvisa morte della madre. Ma sarà proprio la sua determinazione, insieme alla sua inesausta vitalità, a strappare il padre dalla depressione, intraprendendo con lui un viaggio fatto di reciproche scoperte e rivelazioni, nel tentativo di guardare avanti. Un film senza pietismi, che esalta la resilienza nascosta nelle persone apparentemente più indifese e fragili.

Sono 4 le donne, di diversa età, estrazione sociale, provenienza che sanno Dove bisogna stare. Che di fronte a situazioni di marginalità e di esclusione non si sono voltate dall’altra parte e portano un aiuto quotidiano ai rifugiati. In un’Italia sempre più ostile all’accoglienza, il loro interventismo evidenzia l’importanza di mettere al centro, sempre, la dignità umana.

Chi invece ci racconta, con infinita malinconia, l’agonia di un simbolo del riscatto industriale dell’Italia post-bellica è Andrea Segre col suo Il pianeta in mare. Il petrolchimico di Marghera, che ha rappresentato l’emancipazione per moltissimi operai, ma è stato anche la causa di una altissima percentuale di mortalità per gli abitanti del luogo, è divenuto un emblema delle prime lotte operaie che hanno posto al centro dell’attenzione il tema della sicurezza e dell’ambiente.

È malinconico e disincantato, e certamente depresso, anche lo sguardo di Franco Maresco ne La mafia non è più quella di una volta, verso i minuscoli individui di eccezionale vigliaccheria che derubricano Falcone e Borsellini a miti svuotati. Accompagnato dalla fotografa e militante antimafia Letizia Battaglia, il regista palermitano usa la sua consueta cifra stilistica, l’umorismo nero, per raccontare «una tragedia in corso – la mafia – di cui non si parla più, se non nelle fiction». Meritato Premio Speciale della Giuria a Venezia.

La legalità è il tema centrale anche di Selfie, nel quale Agostino Ferrente torna in un luogo ormai trasfigurato dall’immaginario televisivo (e cinematografico) quale sono le periferie violente di Napoli, superando gli stereotipi e affidando il racconto all’auto-rappresentazione della vita quoti- diana di due ragazzi “normali” (uno lavora presso un bar, l’altro vuole diventare parrucchiere), che non fanno parte di alcuna ‘gang,’ e questo, al rione Traiano, appare quasi un gesto rivoluzionario. Con Che fare quando il mondo è in fiamme? Roberto Minervini continua la sua denuncia delle piaghe e delle rovine del suo paese di adozione, spostandosi in Louisiana, nel profondo sud dell’America conservatrice e razzista e infiltrandosi in una comunità scossa da una serie di omicidi di giovani afro-americani per mano della polizia. Nascere, conoscere, viaggiare, abitare e rinascere sono i 5 capitoli in cui è suddiviso Amaranto, il suggestivo saggio incentrato su stili di vita, educativi ed alimentari, alternativi a quelli del modello consumistico corrente. Creazione artistica e allo stesso tempo operazione di militanza, avallata da- gli interventi di alcuni importanti filosofi e attivisti, tra cui Serge Latouche, il film racconta scelte di vita consapevoli, mosse dalla volontà di contribuire attivamente al bene comune, diventando così simbolo di una nuova resistenza possibile.

E infine, Se c’è un aldilà sono fottuto è l’accorato omaggio al regista di culto Claudio Caligari. Il film testimonia la sua passione divorante per il cinema, la sua totale intransigenza e la maledizione nel trovare i finanziamenti per le sue sceneggiature. Ricco di materiali inediti d’archivio e di testimonianze toccanti (da Mastandrea a Giallini, da Borghi a Marinelli, da Moretti a Ferreri), il film si chiude durante il montaggio di Non essere cattivo con una delle sue tipiche frasi lapidarie: «Muoio come uno stronzo e ho fatto solo 2 film». La grande uscita di scena del beautiful loser del cinema italiano.

‘La scomparsa di mia madre’ di Beniamino Barrese

di Chiara Malerba

Presidenza UCCA

‘La scomparsa di mia madre’ di Beniamino Barrese

Potrebbe capitarvi di vedere il sole oscurarsi e anche le stelle. Doveste mai notare un abbassamento generico di luce, beh non abbiate paura di quella gigantesca materia che lentamente ascende a occupare tutto lo spazio visivo dell’orizzonte, il cielo e ogni cosa; potrebbe sembrare una specie di pallone aerostatico immenso, non lo so, comunque vi ci abituerete.

Non sono gli alieni, non sono mostri alati, non è la fine del mondo. È soltanto la mia infinita, indescrivibile ammirazione per Benedetta Barzini per la sua smisurata, titanica personalità; è soltanto lo sconfinato entusiasmo che dona la visione de La scomparsa di mia madre, Premio Ucca L’Italia che non si vede all’ultima edizione del Biografilm Festival, ora candidato agli EFA (European Film Award) e unico film italiano in concorso al Sundance.

Non ditemi che dovrei spiegarvi cosa può esserci di interessante in questo film, in uscita in un nutrito manipolo di sale d’essai il prossimo 10 ottobre (se riuscite a zigzagare Joker forse riuscite addirittura a vederlo). Un documentario che racconta una donna che fa tutto bello. Un’opera prima, urgente, che emoziona e commuove.

Splendida, su un personaggio splendido. Forse dovrei scrivere di quanto sia bello entusiasmarsi e farsi trascinare per terra, nella ghiaia, da una storia ben raccontata. Una storia che parte da una persona e finisce col raccontarti la vita.

Una storia d’amore tra un figlio e una madre. Un amore a volte lacerante e straziante. E una partita, che si gioca con le carte della coerenza, del sacrificio e della rinuncia. Il documentario di Beniamino Barrese si inserisce in questa traiettoria.

Ha il talento (e il coraggio) di lavorare di fino sulla rabbia d’attesa e sulle reazioni di sfogo, sui sentimenti e sulle passioni. E lo fa con la stessa forza con cui all’epoca, il Cassavates di Volti spaccò il cuore a chi ancora ne aveva uno. Insomma, tutta quella roba lì, che c’è scritta sulla locandina -«Tenero e impetuoso», «Benedetta Barzini è una delle grandi donne del nostro tempo» – è vera. Andate a vedere questo film, e ditelo agli amici: farete del bene a voi stessi, e al cinema italiano.

A Carbonia, il cinema del reale di ‘How to film the world’

Maria Luisa Brizio

Walter Ciani

Gabriella Denisi

A Carbonia, il cinema del reale di ‘How to film the world’

Da giovedì 10 al 13 ottobre Carbonia ha accolto, fra gli altri, quattro giovani (e meno giovani) ‘ucchini’ inviati a partecipare al programma di How to film the world, un percorso cinematografico all’insegna della scoperta del cinema del reale: Maria Luisa Brizio e Walter Ciani dall’associazione Altera di Torino, Gabriella Denisi e Luca Ciriello, reduci dell’ultima edizione di FILMaP, l’Atelier di Cinema del Reale, organizzato da Arci Movie di Ponticelli. Ossia noi che vi raccontiamo quelle giornate: la prima, con un interminabile viaggio in pullman-aereo-treno-macchina (o a piedi per Gabriella, o in autostop per Luca), ci fa toccare con mano il senso etimologico della parola ‘isolamento’ e procura ai torinesi un effetto jet-lag che sparisce solo il venerdì mattina. L’altra faccia della medaglia è, invece, il desiderio di ‘connessione’ e in poco tempo ci siamo già immersi nel programma di How to film the world, che si dimostra, fin dal principio, molto interessante, con la proposta di creare un dialogo tra giovani studenti e operatori con una realtà cinematografica sul racconto del contemporaneo.

Il programma si muove su diversi piani, utilizzando diverse forme di linguaggio cinematografico per raccontare il mondo a noi contemporaneo. I film presentati e gli autori coinvolti sono molto differenti l’uno dall’altro: dal racconto frammentato, e particolarmente sonoro, di Ballata in Minore del sardo Giuseppe Casu, al realismo magico della siriana Soudade Kadaan con i suoi Aziza e The day I lost My Shadow, proseguendo poi con il documentario immersivo su un gruppo paramilitare in Slovacchia When the war comes di Jan Gebert; Aperti al pubblico di Silvia Bellotti e Non può essere sempre estate di Margherita Panizon e Sabrina Iannucci, realizzati a Napoli, seguiti dalla commedia Bangla, opera prima del giovane regista Phaim Bhuiyan. E ancora, La Mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco ed Effetto domino di Alessandro Rossetto, concludono le proiezioni di questi giorni.

E in parallelo ai film, le masterclass: gli esperti del settore invitati hanno tenuto un confronto diretto con il pubblico, raccontando le proprie esperienze e, in particolar modo, le differenti realtà cinematografiche dei paesi di origine. A tal proposito, è stato significativo l’intervento di Soudade Kaadan, che ha raccontato delle difficoltà del cinema d’autore e documentaristico in Siria, e di come la distruzione causata dalla guerra abbia generato paesaggi che vengono sfruttati come set per le produzioni cinematografiche libanesi e straniere, tanto da far nascere una iniziativa di boicottaggio. Antonella Di Nocera, responsabile delle produzioni di FILMaP, ha analizzato lo stato del quartiere di Ponticelli di Napoli, diventato anch’esso un set a cielo aperto, in cui emergono le contraddizioni tra rappresentazione cinematografica esasperata (vedi Gomorra e simili) e le difficoltà reali delle persone che vivono il quartiere, per cui è necessario un racconto onesto e concreto della realtà. Edoardo Morabito, montatore e regista, ha espresso le proprie opinioni per quanto riguarda il montaggio di film documentari, in cui realtà e finzione spesso sono indistinguibili.

Gli appuntamenti cinematografici inoltre sono stati efficacemente legati alla storia e alla cultura della città, a partire dalla loro sede di svolgimento, la Fabbrica del cinema di Carbonia: luogo ricco di storia e di cambiamenti, inizialmente sede degli uffici amministrativi delle miniere di carbone, successivamente occupata e usata abusivamente a scopo abitativo, per trasformarsi infine in importante sede cinematografica. Utilizzare gli spazi per funzioni diverse da quelle per cui sono stati progettati, conservando le tracce dei cambiamenti intervenuti ma non per questo ‘congelando’ la storia del luogo, è quanto di meglio si possa fare per costruire un’identità viva e consapevole nella comunità che li anima. Oltre a una mediateca fornitissima, si ha libero accesso anche alla visione dell’archivio homemovie ‘La tua memoria è la nostra storia’, un incredibile lavoro di digitalizzazione di pellicole di privati cittadini, un recupero e una restituzione della memoria di un’intera comunità.

Al di là degli incontri programmati e pubblici, l’organizzazione di How to film the world ha realizzato alcune attività dirette ai partecipanti selezionati del Carbonia cinema giovani per creare un gruppo in grado di collaborare e sentirsi a proprio agio nell’esprimere la propria passione per il cinema. Ed è proprio qui che si trova il valore aggiunto dell’esperienza, nell’incontro con gli appartenenti al gruppo Carbonia cinema giovani: è sempre motivante riconoscersi, da diverse parti d’Italia, accomunati dalla passione per il cinema del reale e dalla curiosità di confrontarsi. E anche un po’, per essere onesti, dalla voglia di andare in spiaggia per l’ultimo bagno della stagione, ad ottobre, o ritrovarsi insieme ad ascoltare un imprevedibile Bob Corn o a ballare scatenati al dj set di Godblesscomputer.