La Mostra del Cinema di Venezia si avvia verso la chiusura di questa 76esima edizione che sta registrando un’affluenza di pubblico incredibile, indice del grande lavoro di riposizionamento sullo scenario internazionale, curato dal Direttore Alberto Barbera.
In un’offerta come sempre ampia ed eterogenea, con una particolare attenzione anche al cinema del reale, due opere hanno lasciato una traccia importante, molto diverse, realizzate con risorse agli antipodi e con fini opposti, ma che, forse, presentano qualche elemento di comunanza.
Si tratta del film evento Joker di Todd Philips e del documentario Se c’è un’aldilà sono fottuto di Simone Isola e Fausto Trombetta. Cosa possono mai avere in comune un’opera hollywoodiana con budget milionario e un’altra indipendente su uno degli artisti più sfortunati del cinema italiano?
Partiamo da Joker. C’era una grandissima attesa, cresciuta sempre più sia per le notizie che provenivano dal set, sia per la scelta di utilizzare uno degli attori più versatili e talentuosi dei nostri tempi come Joaquin Phoenix. Soprattutto, però, l’hype era generata dall’idea di focalizzarsi du uno dei villain più attraenti di tutta la storia dei fumetti, quel Joker proveniente dall’universo di Batman, raccontatoci in passato da autori del calibro di Tim Burton e Christopher Nolan.
Insomma, la pressione sulle spalle di Phillips e di Phoenix era tanta e in molti erano pronti a un crudele cecchinaggio alla prima esitazione.
Invece, Joker si è rivelato un film di rara profondità, un anomalo cinecomics che incrocia una tortuosa strada autoriale, scegliendo l’attenzione su un dispositivo narrativo classico, ma curato in ogni dettaglio.
La Gotham City del film è una città meno cupa di quelle viste in passato, molto vicina ad una New York degli anni ’70, in cui l’oscurità sembra nascere e crescere con la progressiva emarginazione sociale, che relega sullo sfondo chi non è in grado di reggere il ritmo di un mondo spietato.
Arthur Fleck è un disadattato che prova a sbarcare il lunario lavorando come clown per un’agenzia, in attesa di poter presentare al pubblico i suoi numeri da cabarettista. Arthur ha grandi problemi psichiatrici, avrebbe bisogno di essere aiutato e sostenuto, ma la solitudine e la miseria della sua esistenza finiranno per essere acuite e portate all’estremo da una società malata ed egoistica, fino poi ad una esplosione psicotica incontrollabile.
É così che il seme della follia finisce per germogliare in un contesto sociale di marginalizzazione dell’individuo, dove le tensioni sono palesi e la rabbia collettiva monta fino poi a liberarsi senza freni e oltre ogni regola nell’escalation finale.
Un plauso enorme va a Joaquin Phoenix e al suo fragile, umano e oscuro Joker, un’interpretazione eccellente, non solo per il famoso ghigno conosciuto dalla notte dei tempi, ma soprattutto per la capacità di rendere alla perfezione le molteplici sfaccettature di un’anima fragile e in pena che entra progressivamente in un tunnel senza uscita. Tirando le somme, siamo dalla parte del Leone d’Oro o giù di lì.
Di tutt’altro tenore il racconto commosso della vita di Claudio Caligari in Se c’è un aldilà sono fottuto. Isola e Trombetta sono riusciti a mettere su un impianto narrativo che punta al cuore, spostandosi avanti e indietro nel tempo a partire dal backstage dell’ultimo set diretto dal grande autore piemontese, quello di Non essere cattivo, visto a Venezia nel 2015, colpevolmente ‘fuori concorso’, 3 mesi dopo la scomparsa di Caligari. Un grande affresco corale chiama in causa coloro che hanno lavorato con lui, che lo stimavano e che gli erano vicini, a partire dal compianto Marco Ferreri, da Marco Risi e dal figlio putativo Valerio Mastandrea, che tiene le file della narrazione.
Il documentario ci porta così dentro il lungo percorso del cineasta di Arona, cominciato negli anni ’70 con l’enorme interesse per i movimenti di protesta e la sua infinita curiosità nell’approcciarsi alla parte più sporca, grezza, ma, al tempo stesso, forse più pura della società, per costruire una sua personale poetica di matrice pasoliniana.
Emerge in questo modo un ritratto di una persona colta e riservata, con un grande sconfinato amore per il cinema e coerente fino in fondo con le proprie idee e propri valori. Contemporaneamente risalta anche la grande ipocrisia che imperversa in quello stesso mondo del cinema di cui Caligari faceva parte.
Dopo la scandalo del crudo Amore tossico, presentato a Venezia nel 1983, anche con grande riscontro di critica e diversi premi, Caligari fu, infatti, vittima di una censura senza precedenti, che di fatto gli impedì di realizzare almeno altri 10-15 film, con la conseguenza che, alla fine, il suo lascito si ferma a soli tre film.
Un boicottaggio diffuso, a causa del quale, in pratica, il settore della produzione cinematografica finì per mettere al bando uno dei più importanti autori di quei tempi, pregiudicandone in modo irreparabile la carriera.
É proprio in questo aspetto del film che c’è un richiamo alla vicenda di Arthur Fleck, almeno per quel che concerne la marginalizzazione sociale di cui entrambi sono vittima in maniera feroce.
Anche se poi, nel caso del personaggio dei Dc Comics, ciò porta alla pazzia e alla costruzione di una sua nuova normalità, una ‘rinascita’ nel segno della violenza più efferata, mentre nella vicenda di Caligari, invece, la conseguenza è una dolorosa rimozione della sua figura dal panorama cinematografico italiano, che il grande regista accetta quasi come se fosse un destino ineluttabile al quale andare incontro.