Ora e sempre Riprendiamoci la Vita

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

Ora e sempre Riprendiamoci la Vita

di Silvano Agosti

ora e sempre

50 anni dal Sessantotto. 40 anni dal 1978. Dieci anni che hanno sconvolto un mondo. Un movimento mondiale di idee, parole, corpi, lotte, conquiste sociali. Anni in cui l’Italia è riuscita a essere protagonista internazionale, della rivoluzione, e della reazione. Ora e sempre riprendiamoci la vita, un titolo programmatico per cantare e raccontare quei dieci anni attraverso rari, preziosi materiali di repertorio con musiche straordinarie di Nicola Piovani e l’aiuto di un cast eccezionale di testimoni.
Dai protagonisti dei movimenti, come Mario Capanna, Oreste Scalzone, Franco Piperno, un grande sindacalista come Bruno Trentin; ai protagonisti dell’immaginario, come Bernardo Bertolucci, a fianco del più grande regista dell’underground italiano, Alberto Grifi, a una coppia da Nobel come Dario Fo e Franca Rame, un architetto visionario, Massimiliano Fuksas, o ancora una ‘voce’ come Paolo Pietrangeli, il grande scrittore di storie e partigiano Nuto Revelli, il filosofo Emanuele Severino, Pietro Valpreda…. Da queste immagini, volti, voci, emerge una mancanza urgente. Che non riguarda solo i numeri ’68-’78, ma forse di più il nostro presente.

Note del regista

“In futuro, se ci sarà uno storico onesto, sentirà come legittima la necessità di avvicinare i dieci anni trascorsi dal 1968 al 1978 ai grandi eventi che hanno saputo cambiare il mondo come la rivoluzione francese e la rivoluzione russa”. Questo il pensiero guida al quale abbiamo affidato con particolare emozione la nostra memoria personale
e i materiali cinematografici che abbiamo realizzato o raccolto durante quegli anni e che rappresentano il corpo fisico delle lotte e delle conquiste ottenute ovunque in quel decennio. La loro preziosità, in un Paese privo di memorie come questo, rappresenta una testimonianza rara sulla potenza della dignità umana in continua lotta verso il proprio riscatto.”

Le cicale

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

Le cicale

di Emiliano Mancuso e Federico Romano

cicle

Le cicale è un viaggio intimo nella vita di chi, già andato in pensione o in procinto di andarci, si ritrova a lottare ancora per sopravvivere, perché lo stato sociale oggi non basta più a garantire una serena ‘età del riposo’. Per tutti, quando l’inverno è arrivato, i chicchi di grano messi da parte non erano sufficienti, spesso nemmeno ad avere la certezza di poter dormire con un tetto sopra la testa. Ma il destino non ha piegato questi pensionati ed esodati: non sono rassegnati ma pieni di energia, perché sanno che è un loro diritto arrivare vivi alla morte. Un racconto corale, dove attraverso le voci di queste ‘cicale’ loro malgrado, ci troviamo di fronte una possibile verità, che il futuro dei giovani sarà molto simile al presente dei vecchi. 

Note del regista

“Nel 2009, con una piccola telecamera, abbiamo registrato delle interviste in un condominio di Roma, quartiere Cinecittà. Si trattava di una vicenda di sfratti, con la particolarità che le lettere recapitate per ‘fine locazione’ erano indirizzate soltanto agli inquilini anziani dell’immobile. Il proprietario aveva scelto con cura i soggetti più fragili. 8 anni dopo abbiamo ritrovato quel materiale e rivedendolo ci è venuta voglia di tornare in quel condominio e di realizzare una storia sulla vita degli anziani a Roma in questi difficili anni di crisi. Alcuni di loro sono morti, altri andati via, qualcuno è rimasto. I personaggi che abbiamo scelto hanno tutti un comune denominatore: pur nelle difficoltà nessuno si è arreso. Dare voce alle loro storie personali non significa indugiare sul loro disagio o soffermarsi in modo passivo di fronte alle difficoltà, ma cercare invece di darne un’immagine positiva, almeno nella volontà di non lasciarsi andare. Le nostre cicale sono molto formiche.”

La terra dell’abbastanza

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

La terra dell’abbastanza

di Damiano e Fabio D’innocenzo

terra

Mirko e Manolo sono due giovani amici della periferia di Roma. Bravi ragazzi, fino al momento in cui, guidando a tarda notte, investono un uomo e decidono di scappare. La tragedia si trasforma in un apparente colpo di fortuna: l’uomo che hanno ucciso è un pentito di un clan criminale di zona e facendolo fuori i due ragazzi si sono guadagnati un ruolo, il rispetto e il denaro che non hanno mai avuto. Un biglietto d’entrata per l’inferno che scambiano per un lasciapassare verso il paradiso.

Note del regista

“Con questo film volevamo raccontare com’è maledettamente facile assuefarsi al male. I due ragazzi protagonisti uccidono involontariamente un uomo e scelgono la via più facile, quella del silenzio, ma i fantasmi di
quest’evento non gli lasciano tregua. Così cominciano a corazzarsi dai sensi di colpa. Credono sia più facile accumulare ulteriore carico di disumanizzazione invece che ripulirsi da quanto è accaduto. Quando si apre lo spiraglio dell’attività criminale vedono miracolosamente concretizzarsi la pista alternativa della quale credono di avere bisogno: abituarsi al male. Al punto da non sentire più niente, coscienza compresa. In un mondo in cui la sofferenza è sinonimo di debolezza, i due ragazzi protagonisti si spingeranno oltre il limite della sopportazione per vedere fin dove si può fingere di non sentire nulla. Purtroppo, lo scopriranno sulle
loro spalle: si può fingere fino alla fine. Non esiste uno stop, se non il definitivo. Perché il sangue non fa più impressione e la paura cessa di essere un meccanismo di difesa, la violenza diventa l’unico linguaggio comprensibile.”

ISIS, Tomorrow

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

ISIS, Tomorrow

di Francesca Mannocchi, Alessio Romenzi

Nelle guerre non è raro che i vinti sotterrino le armi prima di ritirarsi, che nascondano arsenali in attesa di tempi migliori. Le armi che l’Isis ha lasciato in eredità per il futuro sono centinaia di migliaia di bambini educati alla violenza e al martirio. Per l’Isis i bambini sono l’arma più efficace per portare nel futuro l’idea di un Califfato universale: creare un mondo diviso a metà, da un lato i jihadisti e dall’altro lato gli infedeli da sterminare. Solo a Mosul, nei tre anni di occupazione dello Stato Islamico, hanno vissuto 500.000 minori. Isis, Tomorrow ripercorre i mesi di guerra attraverso le voci dei figli dei miliziani addestrati a diventare kamikaze, ma anche delle loro vittime e di chi li ha combattuti. Oggi i figli dei combattenti sono bambini che portano sulle spalle il peso di essere stati educati a uccidere i propri vicini e far sopravvivere l’ideologia per farla rinascere dalle ceneri dei padri. Il film segue i destini delle famiglie sopravvissute dei combattenti nella complessità del dopoguerra in cui il sangue della battaglia lascia spazio alle vendette e alle ritorsioni quotidiane, alla violenza come sola risposta alla violenza.

Note del regista

“L’Isis ha perso Mosul. Ma è davvero sconfitto? O la vera guerra – per chi la vive e per chi sopravvive – inizia il giorno dopo la proclamata vittoria? Questo film nasce dalle domande che si sono fatte più insistenti durante i mesi di guerra a Mosul e che ci hanno accompagnato nelle faticose fasi del dopoguerra: cosa è necessario fare per salvare le centinaia di migliaia di bambini cresciuti per tre anni sotto l’Isis? Come scongiurare la possibilità che questi bambini siano il terreno fertile del terrorismo di domani?”.

Arrivederci Saigon

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

Arrivederci Saigon

di Wilma Labate

Cinque giovani ragazze, armate di strumenti musicali e voglia di cantare, partono dalla provincia toscana per una tournée in Estremo Oriente. Sognano il successo, ma si ritrovano in guerra. È il 1968 e la guerra è quella vera del Vietnam. Dopo cinquant’anni Le Stars raccontano la loro avventura tra soldati americani, basi sperdute nella giungla e musica soul. 

Note del regista

“È il 1968 e mentre in Italia i giovani occupano le scuole, rinnegano l’autorità di una famiglia patriarcale, rivoluzionano i costumi governati dalla Chiesa e decidono di essere soggetti politici, cinque ragazzine della provincia toscana imparano il soul insieme ai soldati afroamericani in Vietnam. Ancora un altro ’68, tra i tanti, a distanza di cinquant’anni. La sfida è quella di raccontare la Storia con lo sguardo delle protagoniste poco più che adolescenti, riaprendo un capitolo tra i più conflittuali del Novecento con la memoria e la leggerezza di una esperienza incredibile che ha segnato per sempre la loro vita”.

1938

L’ITALIA CHE NON SI VEDE 2018

1938

di Pietro Suber

Il film descrive le vicende di italiani, ebrei e non ebrei, durante il periodo che va dalla pubblicazione delle leggi razziali (1938) alla deportazione dall’Italia (1943-1945). A parlare non sono solo i perseguitati, ma anche i persecutori e poi gli altri testimoni, cioè quella stragrande maggioranza di italiani che non aderirono all’applicazione delle leggi razziali, ma neanche si opposero. Un’opera originale su un tema di grande complessità, considerando che i pochi testimoni dell’epoca sopravvissuti sono molto anziani, la memoria collettiva si sta spegnendo e la conoscenza dei fatti delle giovani generazioni è sempre più labile. 

Note del regista 

“L’ottantesimo anniversario delle leggi razziali è stata una delle ultime occasioni utili per raccogliere testimonianze dirette su cosa successe nel 1938, con l’intento anche di spiegare come questi provvedimenti hanno influenzato in seguito la storia del nostro paese. Il progetto ha l’ambizione di illustrare alle nuove generazioni – da punti di vista a volte contrapposti – cosa significarono in concreto, nella vita di tutti i giorni, le leggi razziali. Ad esempio cosa comportò per varie famiglie, appartenenti alla classe media o a quelle meno abbienti, l’impossibilità di mandare i propri figli a scuola o l’improvvisa perdita del lavoro. Le leggi sancirono il totale isolamento dalla società italiana degli ebrei, ai quali fu impedito di sposarsi con una ariana o un ariano, di far parte del partito fascista, di possedere aziende o società con più di cento dipendenti, di essere
impiegati dello Stato, di esercitare una serie innumerevole di professioni tra le quali quella del medico, del farmacista, dell’avvocato, commercialista, ingegnere, architetto, ecc. Agli ebrei, non di rado eroi della Grande Guerra o ferventi fascisti, furono impediti anche la carriera e il servizio militare. Il documentario vuole infine raccontare quegli italiani che approfittarono della situazione, a volte con vero entusiasmo.”

Selfie

Selfie

di Agostino Ferrente

69^ Berlinale - Panorama

Anno: 2019

Paese: Italia

Durata: 76'

Napoli, Rione Traiano. Nell’estate del 2014 un ragazzo di sedici anni, Davide, muore colpito durante un inseguimento dal carabiniere che lo ha scambiato per un latitante. Davide non aveva mai avuto alcun problema con la giustizia. Come tanti adolescenti, cresciuti in quartieri difficili, aveva lasciato la scuola e sognava di diventare calciatore. Anche Alessandro e Pietro hanno 16 anni e vivono nel Rione Traiano. Sono amici fraterni, diversissimi e complementari, abitano a pochi metri di distanza, uno di fronte all’altro. Alessandro e Pietro accettano la proposta del regista di auto-riprendersi con il suo iPhone per raccontare in presa diretta il proprio quotidiano. Aiutati dalla guida costante del regista, i due interpretano se stessi, guardandosi sempre nel display del cellulare, come fosse uno specchio, in cui rivedere la propria vita. Il
racconto in video-selfie di Alessandro e Pietro viene alternato con le immagini gelide delle telecamere di sicurezza che sorvegliano come grandi fratelli indifferenti una realtà apparentemente immutabile, con i ragazzi in motorino che sembrano potenziali bersagli in un mondo dove la criminalità non sembra una scelta ma
un destino che ti cade addosso appena nasci.

Note di regia

«Dopo L’Orchestra di Piazza Vittorio e Le cose belle, avevo giurato di non realizzare più documentari. Avevo sofferto troppo entrando nelle vite delle persone coinvolte: non so fare documentari diversamente, ho bisogno di immergermi a fondo nella realtà che voglio
raccontare, fino a diventarne parte. Non so realizzare documentari d’osservazione, raccontare in maniera  neutra. No: io sprofondo nella realtà di cui mi innamoro e non voglio più raccontarla, voglio modificarla, “ripararla”. Ma poi venni a conoscenza della storia di Davide. Se ne era parlato molto tra giornali e talk show e mi aveva colpito la facilità con cui un ragazzino colpevole solo di avere l’età sbagliata nel momento e nel posto sbagliati, per molti era diventato il colpevole e non la vittima: a poche ore dalla notizia il tritacarne del pregiudizio sociale aveva già sentenziato che si trattava di un potenziale delinquente e che quindi, in fondo, era solo “uno in meno».

Normal

Normal

di Adele Tulli

69^ Berlinale - Panorama Dokumente

Anno: 2019

Paese: Italia-Svezia

Durata: 70'

Quali sono i rituali, i desideri, i comportamenti legati al genere e alla sessualità? I gesti e i ruoli che spesso senza accorgercene condizionano le nostre identità? Normal è un viaggio tra le dinamiche di genere nell’Italia di oggi, raccontate attraverso un mosaico di scene di vita quotidiana dal forte impatto visivo,
dall’infanzia all’età adulta. Un caleidoscopio di situazioni di volta in volta curiose, tenere, grottesche, misteriose, legate dal racconto di quella che siamo soliti chiamare normalità, mostrata però da angoli e visuali spiazzanti. Con uno sguardo insieme intimo ed estraniante, il film esplora la messa in scena collettiva
dell’universo maschile e femminile, proponendo una riflessione – lucida, e provvista di  ironia sull’impatto che ha sulle nostre vite la costruzione sociale dei generi. Per cercare un
nuovo significato a quella che ogni giorno e spesso senza troppo pensiero (e cuore) definiamo normalità.

Note di regia

« Nei miei film precedenti ho lavorato su temi relativi al genere e alla sessualità sempre scegliendo protagonisti che riflettessero il punto di vista di chi si colloca ai margini delle convenzioni sociali dominanti.
In questo lavoro volevo sperimentare un cambio di prospettiva, concentrandomi proprio su ciò che viene considerato convenzionale, normativo, normale. L’idea è di creare degli accostamenti che riescano
a provocare un senso di straniamento e di sorpresa davanti allo spettacolo della “normalissima” realtà di tutti i giorni. Normal intende suscitare una riflessione sulle complesse dinamiche sociali attraverso cui costruiamo e abitiamo le nostre identità di genere.»

La scomparsa di mia madre

La scomparsa di mia madre

di Beniamino Barrese

Biografilm 2019 (Premio Ucca - L’Italia che non si vede), Sundance Film Festival 2019

Anno: 2019

Paese: Italia

Durata: 94'

Modella iconica negli anni ’60, Benedetta Barzini è stata musa di Andy Warhol, Salvador Dalì, Irving Penn e Richard Avedon. Divenuta femminista militante e madre sola di quattro figli, negli anni ’70 è scrittrice e docente acuta e controcorrente di Antropologia della Moda, in eterna lotta con un sistema che per lei significa sfruttamento del femminile. A 75 anni, stanca dei ruoli – e degli stereotipi – in cui la vita l’ha costretta, desidera lasciare tutto, per raggiungere un luogo lontano, dove scomparire. Turbato da questo progetto – radicale quanto indefinito – suo figlio Beniamino comincia a filmarla, determinato a tramandarne la memoria. Il progetto si trasforma in un’intensa battaglia per il controllo della sua immagine, uno scontro personale e politico insieme tra opposte concezioni del reale e della rappresentazione di sé, ma anche un dialogo intimo, struggente, in cui madre e figlio scrivono insieme le ipotesi di una separazione, difficile da accettare e forse impossibile da raffigurare.

Note di regia

«Beniamino e Benedetta. Ben. Il figlio e sua madre. Ho girato un film su di lei, Benedetta Barzini, mentre dice che vorrebbe svanire. Invece io la seguo e la riprendo. Ben, basta, vattene. Benedetta Barzini, la modella, la ex modella. La comunista, la femminista. Che lava i capelli quando vuole lei, non quando pare agli altri. La docente che insegna la moda mostrando l’unica Madonna che legge un libro, invece di tenere in braccio un bambino (…) Volevo riscattarla dal peso dell’immagine che la tiene prigioniera da sempre: la figlia di  Luigi, giornalista del Corriere della Sera, la sorellastra di Giangiacomo Feltrinelli, fermata per strada da Consuelo Crespi, fashion editor di Vogue, una delle ragazze della Factory di Andy Warhol, quella che disse no a Ted Kennedy. Questa è la sua storia pubblica: ero un animale addomesticato, mi ha sempre detto. Un essere sopravvissuto alla cattività scegliendo di mostrare solo la faccia che gli altri volevano vedere. Quando la guardo io, cerco l’origine della ruggine interiore che la mette in conflitto con tutto. Alla fine ci siamo incontrati esattamente in quel punto: là dove le faccio un torto feroce, costringendola davanti a una cinepresa che lei rifiuta, le rendo anche il favore di una vita.»

Il pianeta in mare

Il pianeta in mare

di Andrea Segre

76^ Mostra del Cinema di Venezia - Selezione Ufficiale

Anno: 2019

Paese: Italia

Durata: 93'

Entrare nel pianeta industriale di Marghera, cuore meccanico della Laguna di Venezia, che da cento anni non smette di pulsare: un mondo in bilico tra il suo ingombrante passato e il suo futuro incerto, dove lavorano operai di oltre 60 nazionalità diverse. Perdersi e stupirsi in luoghi mai raggiunti prima, come il ventre d’acciaio delle grandi navi in costruzione, le ombre dei bastioni abbandonati del Petrolchimico, gli altiforni e le ciminiere delle raffinerie, il nuovo mondo telematico di Vega o le centinaia di container che navi intercontinentali scaricano senza sosta ai bordi dell’immobile Laguna. Attraverso le vite di operai, manager, camionisti e della cuoca dell’ultima trattoria del Pianeta Marghera, le immagini di Andrea Segre ci aiutano a capire cosa è rimasto del grande sogno di progresso industriale del Pianeta Italia, oggi immerso, dopo le crisi e le ferite del recente passato, nel flusso globale dell’economia e delle migrazioni.

Note di regia

«Negli ultimi due anni a chiunque io abbia detto che
stavo lavorando a un film su Marghera la risposta era sempre: “Ah, perché esiste ancora Marghera?”. Le tante ferite e le tante crisi che hanno attraversato questa zona industriale, come molte
altre in Italia, hanno costruito una grande
rimozione nazionale. Crediamo che in quegli spazi non ci sia più nulla, più nessuno. Invece non è così. Un regista di cinema documentario ha un importante compito: portare le persone lì dove non possono o non vogliono entrare. Il Pianeta in mare nasce per questo.»